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Minzolini: Prevost è un Papa lontano da Trump. Ma non andrà allo scontro: è l'ora del confronto
Oggi 09-05-25, 11:03
Vedere l'immagine della bandiera americana, quella del nuovo Papa, sventolare tra la folla raccolta a piazza San Pietro non può non suscitare una certa impressione. Fino all'altro giorno vaticanisti di fama teorizzavano che non c'è mai stato nella Storia della Chiesa un Papa espresso da una superpotenza proprio per scartare l'idea di un Papa a stelle e strisce. E, invece, è arrivato il cardinale Prevost, pardon Leone XIV, americano ma tra i porporati statunitensi il più lontano da Donald Trump. L'unico che aveva chance da quelle parti di essere eletto. Una distanza che è tutta nella sua biografia di missionario, che ha passato più di quindici anni in Perù. Nato a Chicago la città di Obama. Un prelato che ha seguito gli insegnamenti di Francesco, ma anche un agostiniano cresciuto sulle opere del santo dalle Confessioni a La città di Dio, cioè sull'idea della battaglia tra il Bene e il Male. Per alcuni versi con un'impostazione più pugnace del Papa che si ispirò al santo di Assisi. Ha preso il nome di Leone come Leone XIII, il papa dell'Enciclica Rerum Novarum, il manifesto della dottrina sociale della Chiesa, che sostiene il diritto alla proprietà privata ma anche i diritti dei lavoratori. Il cardinale americano più lontano da Trump certo, ma sbaglierebbe chi pensa che sarà il Pontefice dello scontro. Semmai sarà il Papa del confronto, che tenterà di aprire un dialogo perché la Chiesa non dichiara mai guerra ma tenta di conquistare, di mettere i semi nell'altro campo, per convertire al proprio insegnamento chi è diverso. Wojtyla che contribuì alla fine del comunismo si confrontò con esso e finì per far crollare il muro. Papa Giovanni Paolo II, anche lui grande ammiratore di Sant'Agostino, incontrò per ben tre volte il leader della Polonia comunista, il gen. Jaruzelsky e con lui ebbe un rapporto profondo. Quindi è stata una scelta che molti non immaginavano - a parte va riconosciuto questo giornale - ma che in fondo a ben vedere ha una sua logica stringente. Appunto, la logica della Chiesa. Per riportare ad unità la Chiesa americana, squassata dagli scandali, c'era bisogno di un Papa americano. Per confrontarsi con l'uomo che da Washington sta mettendo sotto sopra il mondo, che sta innalzando muri contro l'immigrazione, c'era bisogno di un americano che avesse avuto una lunga esperienza al di là del Muro (Perù). Un personaggio che possiede il linguaggio, la cultura per confrontarsi con Trump. In fondo se si guarda all'elezione del nuovo Papa senza lenti ideologiche, pensando al Pontefice come soggetto globale e non con le logiche del nostro cortile, ci si accorge che la Chiesa sta tentando di instaurare un dialogo proprio con il mondo di Trump che appare tanto lontano. Perché la Chiesa per convincere punta sempre a capire le ragioni degli altri, anche quelle di Trump. E come è avvenuto con Wojtyla, Ratzinger o Bergoglio solo il tempo aiuterà i profani, i non credenti a scrutarne i disegni. Mentre ai credenti basterà aver fede come al solito nello Spirito Santo.
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