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Mostro di Firenze: il dna è rivelatore, svolta genetica riapre il mistero
Ieri 22-07-25, 17:43
Una clamorosa svolta genetica riapre uno dei misteri più oscuri della cronaca italiana: il caso del Mostro di Firenze. Un recente accertamento disposto dalla procura ha rivelato che Natalino Mele, il bambino di sei anni e mezzo sopravvissuto al duplice omicidio del 1968 a Signa, non era figlio biologico di Stefano Mele, marito della vittima Barbara Locci e unico condannato per quel delitto. Il vero padre era Giovanni Vinci, fratello di Francesco e Salvatore, figure centrali nelle indagini sui delitti del Mostro a partire dagli anni '80. La scoperta arriva grazie a un'indagine genetica condotta dal biologo Ugo Ricci, noto esperto di cold case. Il profilo genetico di Natalino è stato confrontato con campioni prelevati in gran segreto dai carabinieri del Ros già nel 2018, durante l'inchiesta sull'ex legionario Giampiero Vigilanti. Fondamentale anche il DNA ricavato dalla recente riesumazione del cadavere di Francesco Vinci. Giovanni Vinci, mai indagato e ormai deceduto da anni, non era stato coinvolto nell'inchiesta, nonostante i legami familiari e le dinamiche relazionali attorno alla figura di Barbara Locci, che frequentava più uomini dello stesso “clan” sardo. Ora la procura, con le pm Ornella Galeotti e Beatrice Giunti, vuole colmare questa lacuna. Natalino, oggi uomo, ha ricevuto da poco la notifica della scoperta ed è rimasto sconvolto: «Quest'uomo non l'ho mai conosciuto», ha dichiarato. Il mistero si infittisce: il killer sapeva chi fosse il vero padre del bambino? È possibile che Natalino sia stato risparmiato proprio per quel legame di sangue? La verità biologica riporta l'attenzione anche sull'arma del delitto del 1968, mai ritrovata, ma riutilizzata nei sette duplici omicidi che terrorizzarono la Toscana fino al 1985. Secondo una sentenza, la pistola “passò di mano”. Il primo condannato, Stefano Mele, scontò solo tredici anni grazie alle attenuanti del delitto d'onore. Poi vennero Pietro Pacciani (condannato e poi assolto in appello), e i cosiddetti "compagni di merende", Mario Vanni e Giancarlo Lotti, oggi tutti deceduti. Tuttavia, la famiglia Vanni – con Paolo, nipote del postino – ha presentato richiesta di revisione del processo, ancora in attesa di risposta dalla Corte d'Appello di Genova. Questa nuova scoperta riaccende i riflettori su un caso mai davvero chiuso, che potrebbe ancora riservare verità rimaste nascoste per oltre mezzo secolo.
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