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Palamara e le toghe rosse: “Sui migranti da anni esiste un connubio tra alcune correnti e una certa politica”
05-12-2024, 12:32
«Sono anni che esiste un connubio tra certe correnti della magistratura e una determinata parte politica sul tema relativo all'immigrazione». A dirlo Luca Palamara, ex presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati. Sempre più fitti i contatti tra alcuni togati e qualche amministratore quando si parla di migranti. La sorprende tutto ciò? «Non mi sorprende perché esiste una parte della magistratura che, ritenendo che il giudice debba avere un ruolo attivo nella società, finisce inevitabilmente per politicizzarne la figura, facendolo entrare in contatto con il mondo politico di riferimento, in questo caso rappresentato dalla sinistra giudiziaria. È un leit motiv che caratterizza il mondo della magistratura dalla metà degli anni sessanta e che oggi, in maniera plastica ed evidente, si ripropone su un tema sensibile come quello dell'immigrazione. Ovvio e naturale che i cittadini, poi, finiscano per domandarsi se i giudici in questa materia vogliano sostituirsi al governo e al parlamento così come previsto dalla nostra Carta costituzionale. Ma è altrettanto doveroso dire che non tutti i magistrati si riconoscono nella politicizzazione del giudice». Che idea si è fatto rispetto al progetto Riace, che, secondo alcuni, sarebbe stato agevolato da qualche procuratore? «Personalmente ritengo che, in linea di principio, l'idea dell'accoglienza e del rispetto della vita umana rappresentino principi assolutamente condivisibili. Il problema, però, è quello di evitare che all'interno del nostro Paese l'immigrazione possa avvenire in maniera incontrollata e che, a differenza di quanto accaduto in passato sull'Italia, in quanto Paese di transito, si possano scaricare tutte le problematiche dei flussi migratori. Non dimentichiamo che per la stessa Unione europea il principio di non respingimento deve operare nei confronti dei soggetti meritevoli di protezione solo quando vi è un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura, ad altre pene e trattamenti inumani o degradanti. Se si elude tale principio rischia di saltare il banco». Qualche magistrato, intanto, ha tentato di costruire una carriera sugli accessi. Vedi scandalo Salvini... «Mi richiamo a dei dati oggettivi che evidenziano come all'interno della magistratura, anche su questa vicenda, non ci sia identità di vedute. Non dimentichiamo, infatti, che a Catania lo stesso Salvini è stato prosciolto con sentenza passata in giudicato. A Palermo, invece, la pubblica accusa ha richiesto sei anni di condanna. Il tutto mi sembra piuttosto eloquente». Tutto ciò ha un legame con quei magistrati che, di fatto, hanno fatto saltare il modello Albania? «Esiste un fil rouge rappresentato dal fatto che, a partire dalla metà degli anni '60, periodo nel quale nascono le correnti, la magistratura ha deciso di darsi una organizzazione politica. Tale scelta, supportata dal collateralismo delle correnti di sinistra con l'allora partito comunista, ha favorito l'idea che il giudice potesse allo stesso tempo esercitare la giurisdizione e contestualmente essere un soggetto attivo nel dibattito politico. E l'immigrazione come detto sposa perfettamente questa situazione». La sorprende il silenzio che c'è stato dopo lo scandalo Patarnello? «Non mi sorprende affatto. Il pensiero dominante e l'egemonia culturale stanno da quella parte. Inevitabile che si tenda a nascondere la polvere sotto il tappeto».
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