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Piange la sinistra da Pasolini a Sorrentino. Il graffio di Bisignani
Oggi 28-08-25, 09:41
Caro direttore, un tempo la sinistra aveva Pasolini, che con la sue immagini laceranti squarciava i veli dell'ipocrisia nazionale; Moravia, che dava voce al disagio borghese e al dissenso civile con romanzi che erano veri atti d'accusa. Aveva Calvino, che insegnava a leggere il mondo con leggerezza senza mai cedere alla superficialità, ed Eco, che smontava i miti di massa con la precisione di un chirurgo. Oggi, invece, si acclamano registi che raccontano la decadenza italiana con compiacimento estetico, trasformando la denuncia in una cartolina buona per il tappeto rosso di qualche mostra. La sinistra si ritrova ora con Nanni Moretti caricatura di se stesso e con Paolo Sorrentino che si autoproclama intellettuale. Un tempo c'erano scrittori e pensatori che aprivano strade, oggi ci sono registi che si limitano a fare il giro dei festival. Pasolini scandalizzava, divideva, metteva a rischio se stesso. Oggi si preferisce la confezione patinata al conflitto vero. Prendiamo Il Divo: l'Andreotti di Sorrentino è una rappresentazione falsata, costruita sì con frasi autentiche ma estrapolate e inserite in un contesto criminale creando una storia diffamatoria e vilificante. Poi la sceneggiata sui papi: The Young Pope e The New Pope sono cattedrali di velluto, tra broccati e sigarette, dove lo scandalo è reso falsamente sublime e la contraddizione ridotta a teatrino fotogenico. Un Vaticano da rivista patinata, più da passerella che da riflessione teologica. E poi La grande bellezza, santificato da un Oscar, dove Roma appare come un sogno di cristallo, una cartolina irreale. Terrazze senza vento né traffico, feste che non finiscono, palazzi svuotati di burocrazia, periferie evaporate. Ma c'è la bellezza di Roma che consola la coscienza: un inganno anestetico quanto basta per sentirsi intelligenti, splendida quel tanto che serve a non cambiare nulla. Come per la sinistra, che elegge Sorrentino a bandiera perché ormai vive di surrogati avendo perso la capacità di elaborare pensiero, di produrre cultura autonoma, come sottolinea Romano Prodi e si aggrappa a chi, forte di prestigio internazionale, può rappresentarla nel mondo. Sorrentino è la maschera perfetta: disincantato ma non scomodo, ironico ma non sovversivo, critico senza mai sporcarsi. È una parabola crudele ma reale: l'impoverimento culturale della sinistra è tale che basta un Oscar, un'immagine patinata o un monologo in controluce per trasformare un artista in guida morale. Non conta più la sostanza, non conta la forza delle idee: conta l'inquadratura, la posa, il riconoscimento internazionale. Finché la sinistra scambierà i registi da festival per eredi di Pasolini e Moravia, non farà che condannarsi a un eterno dopofestival.
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