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Quel “dolce partire” tra orde di barbari. E le chiamano ferie
Oggi 26-07-25, 10:15
Ho pensato per un attimo di andare in vacanza. Ritagliarmi una parentesi di 48 ore in cui avrei portato mia moglie sulle montagne orobiche che ci sono care. Si abbassano le difese con la vecchiaia e si tende a essere più indulgenti. Dunque mi figuravo passeggiare all'ombra di un pino o avventurarmi al limitare del bosco, non per esplorare sentieri impervi, ma per sentire il profumo della rugiada quando scava nelle rughe del tronco e le inonda di lucentezza. Avrei sorriso di noi due in quei luoghi ameni perché è da decenni che non muovo passo dal perimetro di casa mia e chi mi conosce bene sa che bestemmio ogni volta che arriva l'estate. Poi ho visto la coda orribile dei turisti in val Gardena, i fiumi di persone stipati sul sentiero di montagna con zaini inguardabili e facce sconsolate che attendevano fuori dalla seggiovia come fratini in coda per il desco. Disciplinati e paonazzi sotto il sole cocente in attesa che un impiegatino dei monti – per cifre astronomiche e neanche un sorriso di circostanza – li facesse salire sul maestoso Seceda per scattarsi un selfie davanti al panorama mozzafiato. La situazione è diventata talmente affollata che le società concessionarie degli impianti di risalita hanno chiesto di aumentare la portata della funivia per agevolare l'orda barbarica. Allora mi sono detto, Feltri sei pazzo. Non è più tempo delle vacanze, delle fughe, del dolce partire. La vacanza per definizione è follia. E non è mai stata intelligente anche se qualcuno ha coniato il termine pensando che bastasse un titolo per ammantarla di bellezza. Quella pausina goffa che chiamiamo ferie si porta appresso il carico di aspettative che quasi mai vengono realizzate. E abbassa il limite del pudore. Se ci fate caso le esibizioni più oscene si fanno in vacanza. Si cornifica la moglie, si scalano montagne invalicabili, si deturpano monumenti, si percorrono chilometri inutili alla ricerca di luoghi che non sono mai come li vedi in cartolina. Taluni si indebitano persino per uno scampolo di viaggio ed è forse la cosa più scema. I prestiti per migrare sulle spiagge sono aumentati del 25% da gennaio. I prezzi altrettanto. E mi dicono che soggiornare su una spiaggia modesta della Riviera romagnola possa costarti anche 1500 euro al giorno. Significa che si è disposti a vivacchiare un anno intero nel grigiore ferale di città per trascorrere una settimanina all inclusive su una riva maleodorante affollata di pance molli e seni raggrinziti. Anche i matrimoni precipitano nella parentesi delle ferie. O hai la fortuna di rimanere in città mentre la consorte è al lido o vivi una convivenza forzata di sette giorni arrivando a mal tollerare ogni suo sospiro. Il risultato è la separazione a settembre, sopravvivono solo quelli già divorziati. In più le vacanze sono funeste per definizione. Le cronache più nere sono quelle che arrivano dalle spiagge e dalle vette familiari. Morti annegati. Morti nei canaloni. Ragazzini che spariscono sotto l'occhio dei genitori. Tremo al pensiero di Riccardo risucchiato dalla buca di sabbia che aveva scavato per ore perché non sapeva che il terriccio è fragile e ti collassa addosso. Ma non è solo questo il punto. Al giorno d'oggi non c'è più necessità della vacanza perché non si lavora più come un tempo. Tutti quelli che conosco hanno la casa in montagna o al mare e il venerdì chiudono le valigie e spariscono. Anche il lavorare è un concetto astratto. Si fatica durante l'anno ma con moderazione e la mano ben salda sul freno a mano. Le fughe stagionali avevano forse un senso nel Settecento quando i giovani rampolli facevano i grand tour formativi per conoscere i costumi, la politica e le prodezze di certe corti. O nell'Italia del boom economico quando si sgobbava come matti tutto l'anno e la parentesi estiva era veramente l'unica via d'uscita temporanea da una vita grama. Ma adesso che il mondo è fruibile in un clic, e tutto alla portata di tutti, non ha senso. Immaginate la scena: tuffarsi come anguille nella cloaca del mare aperto, percorrere sentieri di montagna chiedendo il permesso per passare. La sola idea mi irrita. Anche i viaggi culturali lasciano il tempo che trovano. Mi ricordano le prodezze di Sordi e della mitica moglie di Vacanze Intelligenti. Erano fruttaroli romani e visitavano le città d'arte mangiando rigorosamente cultura e vegetables perché i figli avevano imposto loro di distinguersi dalla massa. Finché lei, grassoccia e sfinita dal caldo, si mette su una sedia della Biennale grondando sudore e mestizia. E il visitatore scemo chiede: “ma che è? Un'installazione?”. Ecco, noi siamo più o meno così. Vogliamo sembrare quello che non siamo anche in vacanza. E se possibile peggioriamo. Una sola cosa mi piacerebbe rivivere in questa parentesi di mezza estate: un giorno di dolce far niente a Guardialfiera, con il sole che scava la campagna e il fiume che solletica le membra... quando tutto era più semplice e non si sgomitava per un selfie sul cucuzzolo spoglio di una montagna.
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