s

Saman Abbas, condannati i familiari: storia di una ragazza che ha sfidato il suo destino
03-06-2025, 17:18
L'omicidio di Saman Abbas fu organizzato dall'intero nucleo familiare con il coinvolgimento di 5 persone. Ne sono convinti i giudici della Corte d'Assise d'Appello di Bologna, che poco più di un mese fa hanno inflitto la pena dell'ergastolo a 4 persone, rivedendo in parte la sentenza di primo grado emessa dalla Corte d'Assise di Reggio Emilia. Ad uccidere la 18enne di origini pakistane furono i genitori Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, insieme ai cugini Noman Hulhaq e Ikram Ijaz, che in primo grado erano stati assolti, e allo zio Danish Hasnain, condannato a 22 anni (in primo grado erano stati 14), che ha ottenuto le attenuanti per aver fatto ritrovare il cadavere della ragazza. Saman Abbas scomparve da Novellara, in provincia di Reggio Emilia, nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio 2021. Maggiorenne, inizialmente si pensò ad un allontanamento volontario, visto che la ragazza aveva avuto problemi in famiglia, legati in particolare al suo rifiuto – quando era ancora minorenne – di sposare un suo cugino in Pakistan. Una decisione che in famiglia era stata vissuta come un affronto e che, come ha testimoniato il fidanzato di Saman, era il pretesto per discussioni, minacce e spesso violenze subite dalla ragazza in casa. La situazione nella famiglia Abbas era tesissima, anche perché la giovane aveva denunciato i genitori per maltrattamenti e induzione al matrimonio, oltre che per il sequestro dei suoi documenti. Solo dopo qualche giorno, gli investigatori avviarono le vere e proprie indagini, sospettando un omicidio. Le immagini di videosorveglianza ripresero Saman per l'ultima volta in compagnia dei genitori poco dopo la mezzanotte del 1° maggio con uno zaino in spalla. Lì, sostiene l'accusa, in piena notte venne consegnata allo zio e ai cugini che la uccisero, facendo sparire il cadavere. La mattina dopo, Shabbar Abbas e Nazia Shaheen andarono a Malpensa e fuggirono in Pakistan. Il 9 maggio, il resto dei familiari fuggì in Francia, mentre un minore fu preso in consegna e ospitato in una struttura protetta dove ha raccontato l'accaduto. A complicare il processo, ci sono stati i rapporti internazionali con il Pakistan, che per mesi ha negato sia gli arresti che l'estradizione in Italia dei genitori di Saman. Mentre i cugini e lo zio sono stati arrestati tra Francia e Spagna e subito riportati sul territorio nazionale, il papà è stato consegnato alle autorità italiane solo nel 2023, a processo in corso, mentre la madre, Nazia Shaheen, è stata arrestata il 31 maggio 2024 in Pakistan, in un villaggio al confine con il Kashmir ed estradata solo ad agosto, prima del processo d'appello. Nel frattempo, il 27 novembre 2022, lo zio Danish aveva deciso di far ritrovare il cadavere della ragazza all'interno di un vecchio casolare abbandonato, situato non molto distante alla casa della famiglia Abbas. Non lontano da lì si erano concentrate le ricerche, interrotte nel luglio del 2021 perché non avevano dato esito. Con la sentenza d'appello, ora la vicenda di Saman attende solo il sigillo della Cassazione. Il racconto della cronaca nera e dei casi irrisolti si rinnova ogni giorno su Canale 122 – Fatti di nera, che offre un palinsesto dedicato 24 ore su 24. Per chi preferisce scegliere quando e come seguire i programmi, la piattaforma cusanomediaplay.it mette a disposizione lo streaming on demand, garantendo un accesso flessibile e completo. Rita Atria: la “picciridda” che sfidò la mafia e pagò con la vita Era ancora una ragazzina Rita Atria, quando scelse di collaborare con la giustizia. Una 17enne che aveva visto morire nel giro di pochi anni prima il padre Vito, poi il fratello Nicola, entrambi affiliati a Cosa nostra e ammazzati a colpi di pistola. Siciliana di Partanna, in provincia di Trapani, una settimana dopo la strage di via D'Amelio in cui perse la vita Paolo Borsellino, Rita la “picciridda” morì a Roma, il 26 luglio 1992, due mesi prima di diventare maggiorenne, cadendo dal settimo piano di un palazzo nel quartiere Tuscolano, dove viveva sotto copertura. Nessuno la conosceva lì a Roma, nessuno sapeva chi fosse quella ragazza siciliana dal coraggio immenso, ripudiata dalla madre che, dopo la sua morte, distrusse la lapide a martellate. Il suo caso fu archiviato ufficialmente come suicidio. Per la giustizia, nonostante fiumi di interrogatori nei quali aveva aiutato gli inquirenti a ricostruire la mala di Partanna e dintorni, nel mandamento in cui comandavano don Ciccio Messina Denaro e suo figlio Matteo, all'epoca già latitante, quel volo dal settimo piano fu considerato un semplice gesto autolesionistico. Così, dopo anni, Rita la “picciridda” fu considerata solo la settima vittima della strage di via D'Amelio, e non l'ennesima della faida di Partanna. Dopo l'omicidio del fratello Nicola e l'avvio della collaborazione della moglie Piera Aiello, Rita Atria decise di seguire la stessa strada e si affidò al magistrato Paolo Borsellino, raccontando tutto ciò che sapeva da figlia di “Vito 'u mafius” e sorella di un altro affiliato. Tutti gli intrecci, la vendetta che il fratello Nicola ordiva per vendicare la morte del padre, gli equilibri all'interno del mandamento governato dai Messina Denaro. Il coraggio della ragazzina che voleva tagliare i ponti con il passato che aveva portato solo dolore e lutti all'interno della sua famiglia non bastò ad evitarle un altro lutto e la tragica morte. Il 19 luglio 1992 Paolo Borsellino fu vittima di un attentato, con lui morirono i cinque agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Sette giorni dopo, perse la vita anche Rita Atria. Non aveva retto alla morte del magistrato di cui si fidava? Oppure qualcuno riuscì ad eliminare una testimone scomoda che, nonostante fosse ancora minorenne, con le due denunce e il suo coraggio stava aiutando gli inquirenti a svelare i retroscena mafiosi che coinvolgevano anche alcuni politici siciliani? Ufficialmente, le inchieste da trent'anni a questa parte dicono che si trattò di un gesto volontario. E, nonostante gli esposti e i vari tentativi di far riaprire il caso, il sacrificio di Rita "la picciridda" resta una morte di mafia sospesa, un caso a metà, che neanche l'arresto e la morte di Matteo Messina Denaro hanno risolto. Se ami i grandi misteri e vuoi immergerti nei casi che hanno segnato la cronaca nera italiana, Canale 122 – Fatti di nera ti accompagna in un viaggio senza sosta tra inchieste, ricostruzioni e analisi, giorno e notte. Preferisci seguire ogni dettaglio quando vuoi tu? Su cusanomediaplay.it trovi tutti i programmi in streaming on demand: scegli tu quando entrare nella scena del crimine, con la libertà di esplorare ogni storia a modo tuo, ovunque ti trovi
CONTINUA A LEGGERE
3
0
0
Il Tempo
09:43