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Schlein, Landini e i riformisti vogliono la testa di Renzi
19-05-2025, 11:46
C'è il Pd, che prima approva e poi abroga. C'è Matteo Renzi che difende le sue leggi e cerca di incantare i riformisti dem. C'è Elly Schlein (con Maurizio Landini) che fa il suo congresso e che vuole fare la conta del campo largo: «Giorgia stiamo arrivando». C'è infine Giuseppe Conte che si defila, scommettendo sulla sconfitta, «sono io il vero leader». Insomma c'eravamo tanto odiati, 5 referendum (si vota l'8-9 giugno) ed un numero molto più grande di duelli all'ultimo sangue. Da una parte ci sono Maurizio Landini ed Elly Schlein, che vogliono sancire la fine del «renzismo» e contare quanti sono gli italiani disposti a seguirli nelle urne (sperano tra i 10 ed i 12 milioni). La segretaria del PD ha da regolare i conti dentro al suo partito che dieci anni fa benedì il «malefico» Jobs Act. E ora costringe i suoi parlamentari a pentirsi: «Lo abbiamo votato, ma ci siamo sbagliati». Dall'altra, c'è lui, l'intramontabile Matteo Renzi, che difende la sua stagione a Palazzo Chigi, sfoderando la sua proverbiale puntigliosità. Come ha fatto ieri in un'intervista con Il Tempo: «Voterò no ai referendum inutili e sbagliati che la CGIL fa contro il mio governo». Ce n'è anche per la minoranza dem: «Non so se sono ancora riformisti; di certo non sono più coraggiosi». Affermazioni che il più alto in grado tra i riformisti dem, il senatore Alessandro Alfieri, non ha gradito: «Ho trovato offensive le sue parole nei confronti di chi sta con le proprie idee nel PD». I dissidenti del Nazareno si trovano nella posizione più scomoda, tra l'incudine e il martello. I fedelissimi della segretaria da settimane hanno fatto circolare in Transatlantico una «circolare» abbastanza illuminante: «Sarà Elly a firmare le liste». Come dire, «tenetevi la vostra libertà di posizione, ma non fatevi vedere in giro». Così, anche quando sei esponenti (Guerini, Picierno, Gori, Madia, Sensi, Quartapelle) di primissimo piano della minoranza hanno definito il loro comportamento di voto (due sì e astensione su altri tre quesiti), dal Nazareno è partita subito la contro-aerea. «La linea del Pd è una sola, 5 sì», il «bastone» del tortellino magico. I riformisti ondeggiano, Alfieri attacca Renzi; Pina Picierno, Lia Quartapelle (e Lorenzo Guerini) fondano con Italia Viva ed Azione a Milano il circolo Matteotti. Insomma, un antico pallino dell'ex sindaco di Firenze: avviare una sorta di restyling di Italia Viva per mettere in campo la ridotta dei centristi del campo largo, cattolici, riformisti e qualche battitore libero del fu terzo polo. Anche per Renzi i referendum di giugno possono essere una prova nel circuito: «Se sono rose, fioriranno». Ironia della sorte, il più silenzioso appare così Giuseppe Conte. Il leader del M5S ha deciso di non metterci la faccia: se il quorum dovesse rimanere lontano dal 50%, non venitemi a cercare. Piuttosto, pensa l'avvocato di Volturara Appula, la sconfitta mettetela sul conto di «quei due». La segretaria del PD e il leader di Corso Italia ieri si sono abbracciati al Salone del Libro di Torino ed oggi si incroceranno ai presidi organizzati davanti alle sedi Rai. Il sindacalista è rimasto praticamente solo a sgolarsi: «Non è facile; il problema è farli conoscere. Però sono ottimista, abbiamo venti giorni davanti, siamo nella condizione di raggiungere il traguardo». Insomma, tante micro «guerre» diverse; ogni «capitano» ha il suo trofeo da coronare. E lo chiamano referendum.
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