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Trombati come Ricci. Flop del Pd nelle Marche, ad azzopparlo è stato il M5S
Oggi 30-09-25, 07:46
E dire che il Nazareno aveva scelto il candidato per le Marche, con più di un anno d'anticipo. Matteo Ricci aveva messo le cose in chiaro prima di accettare la candidatura alle Europee: sono a disposizione ma il mio vero obiettivo è la Regione. Poi la scalata a Bruxelles: l'ex sindaco di Pesaro abbandona la minoranza di Stefano Bonaccini e diventa il favorito di Goffredo Bettini e Claudio Mancini, strappando il seggio. Sempre con la Regione in testa: «Francesco Acquaroli è debole, ce la posso fare». Un ragionamento che convince subito Elly Schlein che ha bisogno di certezze e consiglia al "campioncino" di insistere su temi nazionali. Il collegamento del Nazareno suonava diretto: «Se perdono le Marche, perdono Palazzo Chigi». In più Ricci poteva vantare un pedigree d'eccezione: è stato un amministratore, è in grado di rinverdire una lunga tradizione del centrosinistra, quando non si sa chi candidare, un sindaco si trova sempre. Insomma la trappola era stata congegnata: «Candidiamo Ricci senza discutere». D'altra parte l'eurodeputato il Pd lo ha girato in lungo e in largo: era bersaniano, poi renziano, subito dopo amico per la pelle di Nicola Zingaretti, naturalmente lettiano. Immediato l'approccio con Elly Schlein: a Bruxelles mai un voto in difformità. E invece lo "sventurato" ha seguito il destino di un altro pezzo da novanta del Pd: Andrea Orlando. L'ex ministro fu chiamato dal “destino” in concomitanza con le inchieste che azzopparono il governatore della Liguria, Giovanni Toti. A Genova, girava la stessa aria che per un mese è circolata ad Ancona: «Vinciamo, è un gol a porta vuota». Ad Andrea Orlando comunque alla fine andò meglio, perse il match con il candidato di centrodestra, Marco Bucci, per un'incollatura. Non il disastro che è capitato al "gemello" marchigiano che sperava nell'Ohio, testa a testa con Acquaroli, il Presidente uscente e rientrante che se l'è "mangiato". E ora non resta che il de profundis degli amici. Dice Goffredo Bettini: «È stata sconfitta l'alternativa per un cambiamento. Matteo Ricci tuttavia, ha combattuto con incredibile passione, forza e intelligenza. Va ringraziato». Lui, lo sconfitto, di un risultato può andare orgoglioso: ha battuto il campo largo che lo candidava. Il suo consenso è superiore di due punti percentuali, rispetto alla somma dei partiti che l'hanno sostenuto, una magrissima consolazione. Piuttosto è «l'inchiesta che lo ha azzoppato all'inizio della campagna elettorale che lo ha indebolito», ammette Eugenio Giani che affronterà le urne in Toscana il 12-13 ottobre. A mezza bocca è quanto dice Ricci davanti alle telecamere: «C'è amarezza per la strumentalizzazione che è stata fatta». Poi il racconto di un'illusione: «Abbiamo visto crescere un'onda sperando che fosse decisiva». Infine lo sconforto: «Ho dato tutto ma non ce l'abbiamo fatta. Ora va tenuta unita la coalizione, senza non si compete neanche». Peccato che i pentastellati, nelle Marche, abbiano sperimentato un'altra tecnica di cottura: il quarto grado di giudizio. Quello che ha subito proprio l'ex Sindaco, che fu stoppato in campagna elettorale per qualche giorno da un inflessibile pm che doveva deciderne la sorte, Giuseppe Conte. Ora è tempo di bilanci: «È tutto sbagliato, tutto da rifare».
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