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Vincenzo Paparelli e quel tragico 28 ottobre 1979
Ieri 28-10-25, 09:00
La bandiera col volto di Vincenzo sventola in curva Nord. Sono passati 46 lunghi anni da quel tragico 28 ottobre del 1979: all'Olimpico muore Paparelli per colpa di un razzo maledetto sparato dalla curva romanista. La mano insanguinata è quella di Giovanni Fiorillo, romano di via Porta Vittorio Emanuele. È figlio di Candida, che ha un banco di fiori, e di Giacomo, meccanico. Proprio come Paparelli. In curva Sud è soprannominato «tzigano» per via di quell'orecchino al lobo e i lunghi capelli. Quel giorno Vincenzo va all'appuntamento con la morte per una serie di incredibili circostanze. La prima: la cognata, moglie del fratello Angelo, tifoso della Roma, è incinta. Lui non può andare, allora regala al fratello l'abbonamento dei giallorossi, che in quella sfida sono la squadra ospitante. Doveva essere una domenica normale per Vincenzo, invece sceglie di andare allo stadio con la moglie Wanda. Le compra il biglietto, ed entrambi entrano in curva poco dopo le 13 (la partita si gioca alle 14.30). La seconda: la scelta del posto. I due si accomodano in Nord vicino alla tribuna Tevere, una decisione nata perché nei pressi c'è un'uscita che può in teoria favorire il deflusso del pubblico, di solito molto complicato a quei tempi. Il resto è un racconto terribile di un folle omicida: Fiorillo prima spara un razzo che finisce fuori dallo stadio, poi un altro, che colpisce Vincenzo a un occhio senza lasciargli scampo. Wanda prova a estrarlo ma non ci riesce, rimediando solo una scottatura che l'accompagnerà per tutta la vita insieme all'immagine devastante del marito morto davanti ai suoi occhi. Sono le 13.15 di un pomeriggio grigio e la vita nella Capitale non sarà più la stessa. Da quel momento comincia il periodo peggiore per la famiglia Paparelli, non solo per la perdita di un ragazzo, un marito, un padre, ma per quello che – vergognosamente – accade in città. Striscioni e cori durante i derby: «10-100-1000 Paparelli», «in curva Nord spareremo un altro razzo». Scritte ignobili sui muri di Roma per fregiarsi di un omicidio, alla stregua di un trofeo da mostrare ai rivali. Purtroppo, questi episodi raccapriccianti proseguono per decenni e il figlio Gabriele racconta ancora oggi con commozione e rabbia: «Tante volte sono io stesso a cancellare quelle scritte sui muri. I primi anni dopo la morte di papà, uscivo con la vernice per coprirle e non farle vedere a mamma che mi accompagnava a scuola, ma puntualmente ricomparivano. E anche ora mi capita di rivederle». Per fortuna da qualche anno i gruppi storici giallorossi hanno deciso di lasciare riposare in pace Vincenzo. Oggi la salma di Paparelli si trova nel cimitero di Prima Porta vicino ai suoi idoli di gioventù Chinaglia, Maestrelli e Wilson, anche loro seppelliti lì.
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