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Voci dal Conclave. Lojudice: "Non volevamo una replica di Francesco"
Ieri 11-05-25, 07:44
«Ho avuto il piacere di conoscere e apprezzare personalmente il cardinale Prevost molto prima di riunirci per le Congregazioni generali e poi in Conclave, perciò quando il suo nome è emerso come candidato al pontificato non ho fatto alcuna difficoltà ad aderire a questa scelta che la Provvidenza ci ha suggerito» spiega a Il Tempo il cardinale (dal 2020) Augusto Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena-Colle Val d'Elsa-Montalcino dal 6 maggio 2019 e vescovo anche di Montepulciano-Chiusi-Pienza dal 21 luglio 2022. Eminenza, l'elezione di Robert Francis Prevost ha stupito il mondo, nessuno si aspettava un Papa statunitense in un contesto geopolitico come quello attuale. Perché la vostra scelta è caduta proprio su di lui? «Il cardinale Prevost non era un nome sconosciuto tra i componenti del Sacro Collegio; aveva un incarico di primissimo piano in Vaticano già da diversi anni come prefetto del Dicastero per i Vescovi e questo lo ha fatto conoscere un po' ovunque nel mondo cattolico e ha fatto conoscere a lui tante realtà diocesane. Mi hanno molto divertito certe ricostruzioni giornalistiche sui presunti "papabili" e come vede il vecchio adagio "chi entra Papa in Conclave ne esce cardinale" è stato confermato ancora una volta. Noi cercavamo una personalità che fosse una sintesi tra esperienza pastorale e conoscenza del mondo, consapevoli sia del fatto che non era possibile tornare indietro rispetto ai dodici anni di Francesco ma anche che non potevamo riproporre una sua copia. Sarebbe stato ridicolo eleggere un Papa che si fosse rivolto alla folla con un "buonasera", perché ognuno di noi ha personalità e identità ben precise che è giusto manifestare liberamente. Francesco aveva il suo stile e noi non cercavamo una sua replica». La lunga esperienza missionaria del Santo Padre è una delle caratteristiche spirituali che hanno indirizzato la scelta degli eminentissimi su di lui? «Certamente. Tutti conoscevamo la sua storia, è stato un elemento fondamentale per raggiungere quella sintesi di cui parlavo poco fa: esperienza pastorale, conoscenza di più lingue – che oggi, in un mondo così moderno e multiculturale è fondamentale – esperienza di governo. Anche la sua formazione, l'insegnamento, il provenire da un ordine come quello agostiniano che ha dei principi e delle caratteristiche spirituali ben precise hanno completato il profilo che stavamo cercando e che non era facile trovare in un pur vasto consesso come il nostro». Il nome pontificale che ha assunto il Papa, Leone, ha spiazzato. È un segnale della volontà di rimettere un certo ordine nell'interpretazione del Magistero petrino? «Ha spiazzato anche me onestamente, non me lo aspettavo. Sono stato sorpreso quando alla domanda di rito ha risposto "vocabor Leo". Nell'udienza concessa ieri al Collegio cardinalizio ha spiegato il motivo della sua scelta legata al magistero di Leone XIII, il Papa della Rerum Novarum, la prima Enciclica sociale della Chiesa. Non è certamente un ritorno al passato, il che sarebbe anacronistico per i tempi che viviamo oggi, ma proseguire il cammino. Certo, il richiamo a Papa Pecci ci ha fatto comprendere la sua espressa volontà di fermezza su molte questioni come pure la sua spiccata attenzione ai temi sociali che sono stati appunto tematizzati per la prima volta da Leone XIII». Il pontefice ha sottolineato più volte di essere il Successore di Pietro, come molti cardinali hanno sottolineato nei giorni di pre-Conclave, e non il successore del suo diretto predecessore. È un segnale di continuità nella discontinuità che molti hanno apprezzato. «Questa distinzione è corretta, ma non deve essere presa a pretesto per contrappore Leone a Francesco. Leone XIV è il successore di Pietro come di Francesco, che ne è stato a sua volta un valido successore. Io ci vedo una grande continuità, Bergoglio ha avuto il suo modo d'interpretare l'essere il 266º successore di Pietro, Prevost avrà il suo ed è giusto che sia così. Anche Benedetto XVI ha interpretato il Magistero petrino nella forma più consona alla sua personalità e senza la coraggiosa scelta che ha compiuto non avremmo avuto né Francesco né Leone». Nell'omelia pronunciata venerdì nella Cappella Sistina Leone XIV ha ricordato di essere “l'amministratore” di un tesoro che voi gli avete affidato. Ha anche sottolineato più volte la centralità di Cristo nella Chiesa, riportando l'attenzione su di Lui e non sul suo nuovo Vicario. Che impressione le hanno fatto queste parole? «È stato un messaggio bellissimo e molto forte, ma sottolineo nuovamente la continuità tra pontificati. Ricordo quando in uno dei primi Angelus Francesco rispose alla folla che gridava «viva il Papa» con chiarezza: «no, viva Gesù!». D'altronde questa è la dottrina della Chiesa, il Papa non è il Vicario di un uomo assente ma colui che ci deve testimoniare la presenza di un Dio vivente». «Ridurre Gesù a superuomo è ateismo di fatto» è un altro passaggio molto potente dell'omelia del Santo Padre. Non trova anche qui una continuità, stavolta con Benedetto XVI e la sua condanna del Relativismo? «Queste parole sono un fermo e chiaro richiamo alla verità della fede e alla centralità di Cristo come al fatto che effettivamente ci possono essere tante deviazioni e distorsioni o false interpretazioni dell'essenza vera di Gesù. Certamente c'è un'assonanza con le parole di Benedetto perché quel relativismo che egli condannava già vent'anni fa è ancora imperante e in alcuni casi ha persino sminuito la figura di Gesù. Proprio come ha detto Papa Leone, questo è ateismo di fatto».
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