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Giuli insulta chi non suona il flauto per lui
Oggi 23-12-25, 06:59
Volgare attacco del ministro a Marcello Veneziani, che su questo giornale si era permesso di muovere delle civili critiche al governo. Anziché fare tesoro delle obiezioni ricevute, il successore di Gennaro Sangiuliano delira di «pelle esausta» e «bile nera».A volte senti parlare il ministro Giuli e ti chiedi che diavolo voglia dire. A volte, invece, purtroppo lo capisci benissimo. Ieri per esempio ha pensato bene di rispondere a un educatamente critico articolo di Marcello Veneziani sulla destra al governo prendendosela con la «pelle esausta» del medesimo Veneziani, con la sua «bile nera», il suo «animo ricolmo di cieco rimpianto», proponendo per l’intellettuale di destra, colpevole di aver disertato dalla leva dei leccaculisti, addirittura una terapia obbligatoria a base di «vaccino anti-nemichettista» che egli stesso, il ministro, si propone di «inoculare volentieri». Credere, obbedire e purgare, si capisce: la destra meloniana avanza spedita verso la deriva dei folli, anzi dei folletti. Giuli e giulivi. Il dio Pan, evidentemente, acceca la mente di chi vuol perdere. L’articolo pubblicato domenica sulla Verità da Veneziani era una riflessione pacata e onesta: «Da quando è al governo la destra», ha scritto, «non è cambiato nulla nella nostra vita di italiani, di cittadini, di contribuenti e anche in qualità di intellettuali, di patrioti e di uomini di destra. Tutto è rimasto come prima, nel bene, nel male, nella mediocrità generale e particolare». Seguiva un esame della realtà, forse spietato, ma certo lucidissimo, in cui accanto agli inevitabili riconoscimenti al lavoro svolto dalla premier Giorgia Meloni («ha governato con abilità, astuzia, prudenza e con una verve passionale che suscitano simpatia. Si è affermata a livello interno e internazionale»), Veneziani avanzava dubbi sul resto: «Solo vaghi annunci, tanta fuffa, piccole affermazioni simboliche», mentre «nulla di significativo e sostanziale è cambiato nella vita di ogni giorno». Persino in Rai «ancora Vespa, Benigni e Sanremo». Niente di nuovo, insomma. «Da nessuna parte». Di fronte a un’analisi di questo tipo si può essere d’accordo o no, chiaro. Ma se si è ministri della Repubblica, saliti al potere per altro in nome della lotta al conformismo e al pensiero unico, se si è ministri di un governo che ogni giorno si dichiara a favore del libero confronto e del rispetto dell’opinione altrui, una sola cosa si deve fare: ringraziare per il contributo critico e impegnarsi a fare meglio. Invece, no. Giuli no. Lui, ministro, decide di attaccare un opinionista di un giornale colpevole soltanto di non avergli leccato gli stivali con cui marciava al passo dell’oca. E non solo lo attacca (cosa già di per sé sbagliata), ma lo attacca pure nel modo più volgare possibile, parlando di «pelle esausta» e di «bile nera», e accusandolo di un «cieco rimpianto» perché – sostiene Giuli – Marcello Veneziani avrebbe a suo tempo rifiutato l’incarico di ministro della Cultura. Cosa che, se fosse vera, potrebbe suscitare rimpianto solo nel Paese, visto chi ricopre adesso quella poltrona. E come si è ridotto. Non basta evidentemente tatuarsi un’aquila sul petto per dimostrare di saper volare alto. E non basta parlare di «apocalittismo difensivo» e «infosfera globale» per sembrare intelligenti. Tanto meno per esserlo. Adesso Giuli va tutto fiero del nuovo ritornello governativo, la nuova parola d’ordine dei gerarchi ottusi, e se la prende con il «nemichettismo»: per Veneziani ci vuole addirittura un premio «honoris causa» - dice il ministro - ma in fondo del «nemichettismo» è vittima tutta la «presunta destra», colpevole di non inchinarsi a baciare la pantofola e di pretendere ancora (ma come si permettono?) di pensare con la propria testa, anziché «incoraggiare» senza se e senza ma lo straordinario lavoro del medesimo ministro Giuli e di tutti i suoi eccellentissimi colleghi. A chi i leccaculo? A noi. Anche questo, in fondo, è un segnale del decadimento della destra al potere: in attesa dell’oro alla patria, si accontentano della saliva. Una volta avrebbero detto: tanto nemichettismo, tanto onore. Adesso invece si spaventano anche delle più pacate critiche, dimostrando così che il vero nemichettismo è quello che regna tra loro e la realtà. Ci devono aver bisticciato quando sono entrati nei palazzi, perché da allora hanno perso il senso della misura. L’adoratore del dio Pan e della dea Dia, già suonatore di flauti pagani, seguace dei fauni e sospettoso nei confronti del cristianesimo (prima di diventare direttore del cristianissimo Tempi, si capisce), gran cultore dei lupi, dandy di destra amato dai salotti di sinistra, capace di definire «mammolette» i militanti del Fronte della Gioventù e allo stesso tempo di conquistare Lilli Gruber, lui, Alessandro Giuli, forse dimentica di essere diventato ministro solo in virtù di una Boccia, nel senso di Maria Rosaria, che ha tolto di mezzo Gennaro Sangiuliano. E di esserlo diventato dopo aver seminato disastri al museo Maxxi (meno 30 per cento nei biglietti venduti, meno 44 per cento nelle sponsorizzazioni, un convegno con Morgan e Sgarbi finito in caciara e inevitabili scuse…). Se il potere non gli avesse dato alla testa più del dio Pan, verso un intellettuale vero come Veneziani, Giuli mostrerebbe solo rispetto. Lo ringrazierebbe e lo inviterebbe a prendere un caffè per cercare di capire come migliorare. Altro che «pelle esausta». Anche perché da migliorare al ministero della Cultura c’è molto. Da quando è arrivato lui, il nemichettista di sé stesso, s’è distinto per: a) una laurea in filosofia presa in tutta fretta per cercare di mascherare le lacune del curriculum più ricco di druidi e tori in calore che di tutto il resto; b) una clamorosa gaffe in Parlamento con la trasformazione di Spoleto in provincia (a proposito di cultura); c) l’approvazione alla censura del baritono russo Ildar Abdrazakov che doveva esibirsi a Verona e che è stato silenziato tra gli applausi dei veri democratici come Pina Picierno e Alessandro Giuli, per l’appunto; d) l’invito tafazziano al ministero dell’Economia ad aumentare i tagli alla cultura, salvo poi cercare di mascherare il tutto facendo passare come nuovi finanziamenti soldi già stanziati, roba che al confronto il gioco delle tre carte è un’operazione di rara limpidezza. In tutto il resto, per dirla con Veneziani, al ministero della Cultura «non è cambiato nulla». E forse avrò anche io la «pelle esausta», ma continuo a sperare, per la stima che ho in lei, che sia più esausta la Meloni di aver accanto persone come Giuli. Continua a leggere
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