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Annalisa Terranova: in tv l'intellettuale Sarfatti è soltanto una ninfomane
12-01-2025, 09:46
Dice: è una fiction tratta da un romanzo mica un documentario storico. Certo, certo. Ma un minimo di aderenza alla realtà storica si impone, se no è solo paccottiglia per ignorantoni. Parliamo della serie M.-Ilfiglio del secolo, dove Mussolini (dipinto come un hooligans affetto da priapismo) non è il solo personaggio bistrattato. Analoga sorte è toccata a Margherita Sarfatti che – va detto – se non fosse stata l'amante del Duce sarebbe oggi una icona femminista. Emancipata, disinibita, interessata di sicuro all'arte ma anche ai diritti delle donne. In primis quello di essere libere. Rispetto alla socialista Kuliscioff, di cui frequentava l'ambito salotto milanese, Margherita curava molto il suo aspetto, imponeva le mode, si circondava di artisti. Un portato della sua educazione: quarta e ultima figlia di una ricca famiglia ebrea di Venezia, i Grassini, fu una bambina viziata dai genitori e da subito portata ad apprezzare la bellezza e il buon gusto. Fa del suo matrimonio con Cesare Sarfatti il trampolino di lancio per diventare protagonista di ambienti intellettuali cosmopoliti e di avanguardia. APERTA ALLA MODERNITÀ E sarà proprio il marito a parlarle in termini entusiasti di Mussolini. Aperta alla modernità, a Parigi frequenta Valentine de Saint-Point e anticipa la questione femminile che l'altra teorizzerà nel Manifesto della donna futurista, dove si insiste sul superamento di tutti i luoghi comuni romantico-borghesi sulla donna. Il futurismo predicava una femminilità trasformata grazie all'acquisizione di elementi di virilità. Sarfatti, donna aperta alle novità, fece propria anche questa prospettiva. La perdita del primogenito Roberto in guerra, nel 1918, fu un dolore lancinante non solo per Margherita ma anche per il marito Cesare. Il giovane partecipò a un episodio bellico eroico, un assalto alla baionetta contro la trincea nemica. Margherita un anno dopo la sua morte raccolse in un libro le lettere e le testimonianze del figlio e quando era ormai in disgrazia, dopo il 1938, rivendicò con orgoglio il suo essere madre dell'eroe di guerra più giovane d'Italia. Il rapporto con Mussolini si consolida in effetti dopo questo lutto. Margherita è un'amante audace: nel 1921 si presenta a casa di Mussolini che è convalescente a letto dopo essersi ferito durante una lezione con il suo istruttore di volo. Rachele rievocando l'episodio disse che la Sarfatti era una che non si vergognava di nulla. «Lei era la vera moglie di Mussolini – chiosò Pietrangelo Buttafuoco – mentre Rachele era solo la sposa». Fu un'intellettuale che merita uno studio attento e privo di pregiudizi legati al fatto di essere stata artefice del culto della personalità del Duce con la biografia del 1926, Dux e inoculando nel capo del fascismo il culto della romanità. Figura dunque di grande rilievo, che veste nella serie i panni di una specie di ninfomane ammaliata dalla sessualità selvaggia di Mussolini. VISIONE SESSISTA Interpretazione debitrice della visione sessista che la sinistra sfodera a proposito delle donne che di sinistra non sono: o oche giulive o grandi meretrici. La stessa Margherita, molti anni dopo, ricorderà così il primo incontro con Mussolini: «Fui colpita dai suoi occhi gialli grandi e luminosi che roteavano e si muovevano febbrilmente nelle orbite, dalla sua bocca ferma, dalle sue citazioni di Nietzsche e dal suo volto severo e determinato». Fisicità, dunque, ma anche intelletto. L'itinerario di Margherita è simile a quello di un'altra donna, Teresa Labriola, figlia del filosofo Antonio, che dal femminismo approda al fascismo dopo avere abbracciato l'ideologia nazionalista. Sarfatti crede nelle possibilità rivoluzionarie del fascismo e lo inquadra nell'ambito di quel fenomeno che gli storici hanno definito “modernismo reazionario”. Mussolini la asseconda facendole dirigere la rivista dottrinaria del fascismo Gerarchia a partire dal 1924. IL MOVIMENTO È nell'arte però che si concentrano i suoi interessi con la creazione del movimento “Novecento italiano” che si prefiggeva di porre le basi di una nuova arte per la nuova Italia. In questo ambizioso progetto l'antico femminismo sbiadisce e perde forza ed energia anche se la sua figura è quella di una donna potente che si prende i suoi spazi in una cerchia di uomini molto meno influenti di lei e di lei invidiosi, o ostili come Bottai e Starace. Lasciata l'Italia per Parigi nel novembre 1938 per sfuggire alle leggi razziali, e fallito il tentativo di riparare negli Stati Uniti, la Sarfatti si stabilì in America Latina. Ciò che le stava più a cuore era ridimensionare la figura di Mussolini, scindere le proprie responsabilità da quelle del capo del fascismo e lo fece in una serie di articoli pubblicati da un giornale di Buenos Aires. L'ultimo articolo si intitolava La Mia colpa e aveva toni rancorosi verso l'antico amante. Presentato come il traditore della rivoluzione fascista che lei non era riuscita fino in fondo a guidare. Tornata in Italia nel 1947 chiese a Indro Montanelli di essere accompagnata a Piazzale Loreto, dove non trattenne le lacrime. Nel 1954 uscirono le sue memorie, Acqua passata, ma il libro non ottenne successo, interessava poco, si voleva dimenticare e Sarfatti era figura ingombrante su cui, inesorabile, si abbatté la damnatio memoriae.
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