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Annullare il voto se vince AfD: l'inquietante sparata dai vertici Ue, ecco la loro "democrazia"
12-01-2025, 11:20
Si dirà (obiezione 1): in fondo è una voce dal sen fuggita, poco più di un lapsus odi un infortunio lessicale. E si dirà ancora (obiezione 2): Thierry Breton è ormai un personaggio che rappresenta solo se stesso. Certo, in passato è stato ministro e commissario Ue francese (in quota “tecnocratica-tecnoelitaria” spendi bile alternativamente sul centrodestra o sul centrosinistra), ma adesso è uscito di scena rispetto alla seconda squadra di Ursula von der Leyen, peraltro non senza una sua velenosa coda polemica. Entrambi i caveat sono assolutamente veri, e ciononostante fa una certa impressione sentire Breton in una performance tv ormai diventata virale sui social dire testualmente quanto segue: «Lo abbiamo fatto in Romania, e ovviamente lo faremo anche in Germania se necessario». Il riferimento è alla presunta disinformazione online, alle cosiddette interferenze esterne, e quindi - in ultima analisi- alla possibilità di annullare l'esito di un voto com'è notoriamente avvenuto da parte della Corte costituzionale rumena. Con grande nonchalance, tutto preso dalla sua crociata anti-muskista, Breton non sembra avere dubbi sulla possibilità di applicare la stessa ricetta perfino in occasione delle elezioni tedesche del 23 febbraio prossimo. Lo spunto è noto: si tratta della crisi isterica che ha colpito l'establishment Ue dopo la conversazione online tra Elon Musk e la leader di AfD Alice Weidel. Già il solo fatto che un dialogo del genere sia stato organizzato li ha mandati al manicomio. Ma la performance brillante, autocontrollata e perfino culturalmente libertaria di quella che era stata bollata come una «nazista» ha fatto andare fuori di testa una serie di signori che dovrebbero essere abituati a padroneggiare pensieri e parole. E invece- oplà - eccoli lì a spiegare che un'elezione può essere ribaltata se il popolo non vota “bene”. Ora, sulle colonne di Libero, non c'è nemmeno bisogno di spiegare quanto questa forma mentis sia inaccettabile: l'idea che il popolo sia “saggio” solo quando vota secondo gli auspici delle élites è di per sé indigeribile. Tra l'altro: chi stabilisce quando e quanto pesi davvero un'influenza esterna? E perché le influenze esterne del passato andavano bene (essendo tutte orientate in senso eurolirico e pro establishment), mentre adesso scatta questa fretta sospetta di imbavagliare il solo Musk? La risposta è semplice: c'è un milieu culturale e politico, un ambiente, un umore, un circolo di (quasi ex) potenti, di vecchi mandarini, che sono terrorizzati all'idea di perdere il controllo. Perdere il controllo degli elettori, in primo luogo. Ma anche perdere il controllo dei media: sui media tradizionali le classiche operazioni di censura erano più facilmente orchestrabili. E lo stesso accadeva pure online quando tutti i giganti del big tech fiancheggiavano l'internazionale dem. Ma ora che Musk ha rotto il monopolio, inducendo anche altri a rivedere le proprie posizioni, è scattato il panico. Date uno sguardo agli stralci del podcast di Mark Zuckerberg con Joe Rogan: il super capo di Facebook (oggi Meta) ammette tutte le censure praticate negli anni scorsi, in ossequio alle pressioni politiche che aveva regolarmente deciso di subire. Ora (scegliete voi se per sincero pentimento o per calcolo furbo) Zuckerberg annuncia la svolta, dice addio alla censura e all'imperversare dei fact-checkers a senso unico, e adotta l'agenda pro free speech di Musk e Trump. Davanti a tutto questo, quelli come Breton impazziscono di rabbia. Va ricordato che già al momento dell'acquisizione di Twitter da parte di Musk, Breton, allora commissario Ue, si era abbandonato a spettacolari minacce sul piano regolatorio. Significativamente, immaginando quello che Musk avrebbe presto dovuto sopportare avendo a che fare con le autorità di Bruxelles, il Times di Londra scrisse che si sarebbe trattato per lui di una «sfida maggiore che andare nello spazio». La notizia è che Musk sta vincendo anche questa sfida. E quelli come Breton la stanno perdendo, con relativa crisi isterica. Qualche anno fa un gigante della cultura e del giornalismo, il britannico Charles Moore (biografo di Margaret Thatcher, già direttore di Telegraph e Spectator, e ora commentatore per le due testate), descrisse così i mandarini di Bruxelles: «Una classe di persone altamente educate che hanno trovato la formula segreta per restare al potere senza sottomettersi alla volontà popolare». Forse quella stagione sta finalmente passando: possiamo almeno cominciare a sperarlo.
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