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Bari, il festival della grammatica mette il maschile al bando
07-09-2025, 12:42
In Puglia la politica sovrasta le pagine dei quotidiani in vista delle elezioni regionali. Ma non ci è sfuggita un’iniziativa rimbalzata sugli spazi culturali dell’edizione barese del Corsera. Qui fa capolino un articolo sul “Femminile sovraesteso”. Un festival con il medesimo nome che prenderà vita a breve, per concludersi a dicembre, nel capoluogo pugliese presso l’Officina degli Esordi. Il programma lo presenta Ilenia Caito, la fondatrice del Collettivo Bandelle, mostrando la rassegna come un evento «che intreccia cultura e politica». Partiamo il 10 settembre con il gruppo di lettura Guastafeste, poi il 23 l’incontro “Le protagoniste del Secolo”, un approfondimento sulle scrittrici del ’900, e via via passando per il Quaderno proibito di Alba De Céspedes, “Cosa fanno le bambine?” e avanti così. Il tutto patrocinato e finanziato dal Consiglio regionale della Puglia nell’ambito dell’avviso “Futura. La Puglia per la parità - 3° edizione”. UNIVERSITÀ DI TRENTO Ora vi vediamo con le pupille ribaltate e il punto di domanda sul volto. Ma che cos’è questo “femminile sovraesteso”? Nient’altro che una forma di linguaggio atto a utilizzare i termini femminili riferendosi a tutte le persone, compresi gli uomini. Siamo in un campo non nuovo. Già l’Università di Trento nel marzo 2024 aveva diffuso un comunicato, a firma del rettore Flavio Deflorian, in cui veniva stilato il regolamento lessicale dell’ateneo scegliendo come unico genere quello femminile. Deflorian era arrivato a questa intuizione riflettendo su un vademecum dedicato al «linguaggio rispettoso delle differenze» prodotto dallo stesso istituto nel 2017. «Come uomo mi sono sentito escluso. Questo mi ha fatto molto riflettere sulla sensazione che possono avere le donne quotidianamente», disse il rettore a Il Post, «quando non si vedono rappresentate nei documenti ufficiali. Così ho proposto di dare, almeno in questo importante documento, un segnale di discontinuità». E in questo modo la sua proposta fu accettata all’unanimità. Oppure ricordiamo il caso, febbraio 2023, in cui una rappresentante degli studenti, come rammenta un articolo apparso sull’Accademia della Crusca, durante l’inaugurazione «dell’anno accademico di un importante ateneo italiano» aveva effettuato tutte le sue rivendicazione utilizzando proprio il «“femminile sovraesteso” come antidoto al maschile». Ecco perché quello che andrà in scena a Bari non è altro che questo. Il tentativo di smontare la lingua per renderla altro. Perché il linguaggio muta, cambia assieme all’incedere dell’acqua di un fiume in cui non torniamo mai due volte nello stesso vocabolo, come in una sorta di panta rei per dirla alla Eraclito. Questo è quello che immagina chi vuole distruggere il ponte dell’italiano per abbattere i limiti della parola. Il limes del parlato e dello scritto in realtà non impedisce di entrare e uscire da esso, ma consente di definirci. Permette di darci forma, di delineare il nostro dentro e il nostro fuori. Soprattutto consente di difenderlo e di rivendicarlo. Proprio come scriveva Dominique Venner: «Esistere è combattere quello che mi nega». Ecco quello che con questa, ennesima, trovata i parvenu del lessico non vogliono creare nulla, ma fare tabula rasa. In tal senso come dimenticare il commissario tecnico della nazionale femminile italiana di calcio Andrea Soncin. Dopo aver condotto la compagine alle semifinali degli europei, persi contro l’Inghilterra ai supplementari, l’allenatore di Vigevano ha parlato davanti a Mattarella usando, per l’appunto, il “femminile sovraesteso”. «È un onore incontrarla, da parte di tutte noi», ha detto al presidente della Repubblica. In questo modo viene celebrato l’annullamento dell’individuo all’interno non della comunità, ma della folla. Non esistono perimetri, non esistono figure esiste solo la promiscuità. E così facendo non viene raccontato lo sport al femminile - oppure l’emancipazione della donna- ma esso viene usato come mero strumento per annullare le peculiarità. INCLUSIVITÀ Infatti è bastato recarsi sul profilo Instagram dell’ideatrice del festival barese sul “femminile sovraesteso” per leggere - direttamente dal Festivaletteratura di Mantova, ideato nel 1997 da una delle menti più brillanti della destra di fine ’900 Marzio Tremaglia - l’intervento della scrittrice Elvira Mujcic. «L’identità è un concetto con cui non ho grande affinità si può accostare al mortifero a qualcosa che resta fermo nel tempo. Invece l’identità, come noi, cambia continuamente si allarga, per fortuna». A questo tipo di forma mentis Alain de Benoist nel suo Che cos’è l’ideologia del medesimo? (Passaggio al bosco) ci mostra come «la diversità del mondo rappresenta la sua sola, vera ricchezza, perché questa diversità è fondatrice del bene più prezioso: l’identità. I popoli non sono intercambiabili, non più di quanto lo siano le persone». O i vocaboli potremmo dire. La realtà come diceva la scrittrice Flannery O’Connor è «il dovere dello scrittore» di «contemplare l’esistenza, non dissolversi in essa». E dissolvere la lingua italiana non sarà mai la risposta all’inclusività dai progressisti senza progresso. Yasmina Pani, divulgatrice di linguistica e letteratura, ci rammenta che «il “femminismo sovraesteso” non è italiano. È una sgrammaticatura e una scelta ideologica, priva della minima base scientifica». E se la lingua la fa chi parla non smettiamo, citando una nota pubblicità, di aprir bocca.
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