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Cultura e Spettacolo
Beatrice Venezi, l'uscita a vuoto di Michele Serra: paternale sinistra
Oggi 28-09-25, 10:22
Dondolandoci sull’«Amaca» di Michele Serra (Repubblica, 27 settembre), è d’obbligo indossare il saio prima di varcare la soglia: siamo nel monastero radical chic. Si entra in punta di piedi, tra incensieri linguistici e campanelli retorici, per ascoltare l’ennesima omelia laica sul Bene e sul Male culturale. L’articolo su Beatrice Venezi è presentato come riflessione, ma ha il passo del sermone: il celebrante dall’ambone, i fedeli in ginocchio, e in mezzo l’eretica da ricondurre al gregge. Solo che qui il catechismo non è musicale: è motivazionale. Serra non critica: impartisce lezioni. Non argomenta: benedice e bacchetta. È il maestrino che fa la predica al Maestro. Il cuore del messaggio è una rivelazione da manuale di autoaiuto: «Per essere stimata, la direttrice d’orchestra deve dimostrare sul campo di essere brava, anzi bravissima». Grazie, davvero: domani aspettiamo l’ulteriore scoperta che per vincere i 100 metri bisogna correre più veloce. Nel frattempo ci si raccomanda di non gridare ai “comunisti!” in orchestra: che lieto quadretto — i violini come sezione locale del Pci, i fagotti in assemblea permanente – tutto per strappare un sorriso e non dover ammettere che l’argomento è un pregiudizio vecchio come il dopoguerra: la cultura apparterrebbe alla sinistra, la destra può al massimo bussare e chiedere permesso. Arrivano poi i giganti, che Serra consiglia come modelli : Karajan e Bernstein, trattati a uso e consumo del discorso del giorno. Il primo, non esattamente “antifa”, viene archiviato con un’alzata di spalle: «Era bravo, punto». Il secondo, ridotto al patriarca dei «radical chic», come se la sua grandezza si misurasse a inviti a cena. È un modo leggero – troppo leggero – di usare la storia come scenografia: il palco nobilita la tesi, non la mette alla prova. Il finale è il pezzo forte del zuccherificio retorico: «È quanto le auguriamo, di cuore». [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:44282862]] Dopo aver spiegato alla «maestra (anzi, maestro)» come comportarsi e persino come farsi perdonare l’appartenenza politica, ecco la carezza paternalistica: l’assoluzione con condizionale. Sembra incoraggiamento; suona epitaffio. Sotto il velo di bonomia resta l’assunto irrinunciabile: l’egemonia culturale come diritto naturale. Un copione antico, figlio di una spartizione sedimentata: la sinistra alle cattedre morali (magistratura e cultura), la destra ai compiti di fatica. In questo schema, chi osa uscire dal recinto — una giovane direttrice che non appartiene alla parrocchia giusta — va derubricata a «promossa politicamente». Non serve ascoltarla: basta inquadrarla. E tuttavia la musica ha una cattiva abitudine: smentire le ideologie. Sul podio non c’è la tessera, c’è il gesto. In buca non c’è il voto, c’è il suono. Funziona o non funziona, emoziona o non emoziona. Tutto il resto è soprammobile retorico. Se Venezi dovrà “dimostrare”, lo farà come chiunque: davanti a professori più severi di Serra, cioè il pubblico e l’orchestra. Ma una critica onesta si formula sul merito (prova, fraseggio, lettura, equilibrio, autorità), non con la pacca sulla spalla dall’alto del pulpito ideologico. E qui sta la stonatura dell’Amaca: non l’ironia – che sarebbe legittima – il paternalismo. Perché il sarcasmo senza argomento è solo snobismo, e lo snobismo in gonnella da sacrestia resta snobismo. Se davvero «il tempo è galantuomo», come scrive Serra, lasciamolo lavorare senza prefissi politici. E quando la musica parlerà – bene o male – accettiamone il verdetto senza patente di superiorità. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:44282128]] In conclusione, più che un articolo, questa “Amaca” è un bugiardino di virtù precotte: prendere una per volta, con un bicchiere d’acqua tiepida. Prescrizione: non superare le dosi di paternalismo consigliate. Effetti collaterali: nausea da radical chic e sonnolenza intellettuale. Controindicazioni: l’Arte — quando compare, smonta l’intero discorso. E, miracolo, non ha bisogno della benedizione di nessuno.
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