Bertuzzi, la follia femminista: vogliono tutelare le donne ma le riducono a "persone con utero"

«Un altro pezzo per difendere le donne dalle donne, oddio, ma quand'è che la finirete di farvi del male da sole?». Il commento del collega che sbircia annoiato il monitor del pc la dice lunga su quanto il femminismo abbia rotto le palle. Ma soprattutto su quanto noi donne siamo diventate patetiche, stucchevoli, a tratti banali, nel doverci difendere dalle donne che sistematicamente vogliono ridurci al lumicino di quel che siamo, descrivendoci come quote rosa, animali in via d'estinzione adesso persino puri organi genitali. L'ultima idea, assurdamente folle e grottesca, è infatti quella di levare la parola “donne” dal vocabolario e sostituirla con “persona dotata di utero”. Non più un essere senziente, complesso, meraviglioso che ha faticato a guadagnarsi il proprio posto nel mondo. Ma un corpo meccanico, dotato di apparato riproduttivo, e quindi in grado di fare figli. Un “fornetto” o giù di lì sarebbe stata la definizione più consona, e forse più sincera. Non è la prima volta che succede, badate. L'autorevole rivista Lancet ci aveva provato qualche anno fa con un'articolessa di tale Sophia Davis che spiegava quanto i corpi dotati di vagina siano stati trascurati nella storia. I lettori erano balzati sulla sedia ma la faccenda era finita in sordina, relegata nelle controversie femministe da salotto. Ieri invece la questione è tornata sotto i riflettori con un post autorevole in cui si discettava, guarda caso, di problemi femminili. «Le mestruazioni sono un tabù sul lavoro e nella vita quotidiana e la ricerca sul ciclo mestruale è sottofinanziata» era scritto sulla pagina Instagram di Skytg24, «Ma c'è un luogo in cui le persone con utero e che hanno un ciclo mestruale possono fare comunità. Le app di monitoraggio del ciclo». Sei righe contate per un'opera «U di chilleraggio spietato. In nome del politamente corretto, della difesa dei diritti delle donne e della necessità di includere le persone in transizione, le femministe hanno fatto fuori in un colpo solo 1) le donne, riducendole a contenitori di organi riproduttivi (clitoride, utero, ovaio) con tanto di data di scadenza incorporata (perché sicuramente, prima o poi, si alzerà dal consesso una femminista a dire che dopo la menopausa l'utero non serve più e dunque servirà coniare una nuova definizione) 2) i trans che anelavano all'inclusione, perché essendo persone in transizione non hanno l'utero e allora non li definisci ma se non li definisci li escludi. Praticamente uno tsnumani. E naturalmente nessuno che si sia posto il problema di definire, neanche da ubriaco, l'uomo come “persona dotata di testicoli”, sia mai. Che sia dunque un tentativo di introdurre un patriarcato aggiornato? Magari più subdolo e nascosto? Non sarà sfuggito peraltro che in questa ricostruzione/descrizione della donna (persona dotata di utero, ripeto la definizione sperando di renderla meno agghiacciate) è avvenuto lo scempio della maternità, privata della sua meraviglia e del suo significato originario, e ridotta ad atto meccanico di ingegneria genetica, buona forse per sdoganare l'utero in affitto non certo per fare un favore alle donne. Allora, che fare: 1) diffidare delle femministe? 2) diffidare della linguistica che nello sforzo/anelito all'inclusione come bene assoluto esclude tutti? 3) diffidare degli uomini che se la ridono smaccatamente? 4) tornare al patriarcato ed evocare un rigurgito fascista? Sto scherzando ovviamente. Ma è chiaro che non c'è soluzione a questa deriva tragicomica, se non accantonare certo femminismo di ritorno, pericoloso e svilente... E pensare che tutto era nato da un'app di mestruazioni.

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