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Capezzone: breve storia delle bugie rosse sugli Stati Uniti
23-07-2024, 08:15
Si potrebbe andare ancora più indietro nel tempo, ma, fissando arbitrariamente una data simbolica di partenza, potremmo dire che molto inizia giovedì 6 novembre 1980, con la prima pagina dell'Unità, organo del Pci, che annuncia con tono funereo l'elezione di Ronald Reagan a presidente degli Stati Uniti. Titolo: «Inquietudine nel mondo per la vittoria di Reagan». Occhiello: «Un'America delusa e in crisi esprime un voto essenzialmente negativo». Sommario: «Si fa pressante la necessità di nuove iniziative di pace». Ah sì? E chi con chi intendevano farle i comunisti italiani queste brillanti iniziative di pace? Elementare, Watson: abbracciati a Breznev, e finanziati da Mosca. Ecco, per stare solo agli ultimi 44 anni, è sempre andata così. Ogni volta che vinceva (o poteva vincere) un repubblicano, i nostri compagni hanno descritto le elezioni americane come un incubo, una fonte di ansia per il mondo, un motivo di angoscia per la parte buona dell'umanità (cioè loro stessi). Al contrario, ogni volta che a vincere (o a essere in vantaggio) era un democratico, allora la musica cambiava: «Siamo tutti americani», «yes we can», la poetica del «nuovo inizio», e via veltroneggiando o riotteggiando a piacere. Quindi, ricapitoliamo: America bestia nera se si colora di rosso (sapete che lì i colori politici sono invertiti rispetto alle nostre tradizioni, e il rosso è il colore dei repubblicani). E allora male Bush padre («guerrafondaio», pontificavano gli amici nostrani di Saddam), malissimo Bush figlio («più guerrafondaio del padre», rincaravano, e per giunta sostenuto dai “perfidi” neocon, pensatori che, avendo ragione su quasi tutto, sono stati demonizzati in Europa e descritti come una pericolosa cabala di esportatori di democrazia, pensate che “crimine”). E ancora peggio Trump, a cui però da sinistra veniva e viene mossa l'accusa uguale e contraria contestata agli altri nelle occasioni precedenti: a quelli si rimproverava il progetto di promozione globale della democrazia, a lui si imputa un presunto eccesso di isolazionismo. Morale: non va bene niente, né “freedom first” né “America first”. Comunque si muovano, i repubblicani sono tutti e invariabilmente fascisti. STAGIONE OBAMIANA E invece, negli anni delle amministrazioni dem, era tutto latte e miele. Fiumi di inchiostro per celebrare il clintonismo, con i nostri dalemiani al seguito. E poi lirismo puro per la stagione obamiana: con fallimenti spettacolari (le primavere arabe, la ritirata morale da mezzo mondo, gli inchini ai tiranni iraniani) presentati come trionfi. E infine concerti di viole-violini-violoncelli (ma oltre agli archi, c'erano gli immancabili tromboni) per spiegarci che Joe.
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