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Capezzone: il campo largo ha chiuso le trasmissioni
27-09-2024, 06:35
Dicono che da giovane – un sacco di chili fa – Angelo Bonelli avesse una qualche somiglianza con Roberto Mancini: inspiegabilmente, l'ex golden boy di Sampdoria e Lazio non ha mai querelato. Ma ieri, all'improvviso – come un lampo nel buio – quella somiglianza è venuta fuori. Non esteticamente: non fraintendete. Ma per un vero e proprio colpo di tacco calcistico di Bonelli, una giocata sublime, un tocco da prestigiatore del football, roba da Mancini dei tempi d'oro appunto. Peccato che il pallone sia finito nella sua porta, ma questo è un dettaglio. Eccola la dichiarazione del leader verde dopo l'ennesima figuraccia della sinistra, finita spaccata, anzi lacerata, sul voto per il CdA Rai: «Il campo largo non esiste: è un lavoro che dobbiamo costruire». Sbam: undici parole, e altrettanti schiaffi al Pd e al resto della comitiva progressista. Una specie di fischio finale sulle illusioni estive della sinistra, l'istantanea trasformazione del campo largo in campo santo. Per tutta l'estate ci avevano raccontato che Giorgia Meloni, con il voto contrario di luglio a Ursula von der Leyen, si era “isolata” in Europa. Ma poi – ahiloro – è arrivata la vicepresidenza esecutiva della Commissione peril commissario italiano. LA FAVOLETTA Ancora: ci avevano raccontato che Marina Berlusconi era impegnata in una complessa trama per buttar giù – simultaneamente – Meloni e Tajani, cioè sia il governo sia l'attuale guida di Forza Italia. Ma poi – ahiloro – è stata proprio la Cavaliera a smontare tutto il racconto farlocco. Non basta: ci avevano raccontato che pure Mario Draghi era lì a tessere la sua tela, sfasciando quella della premier. Ma poi – ahiloro – sono arrivate le foto dei baci e degli abbracci tra Meloni e il suo predecessore. E allora cosa rimaneva per tenere minimamente accese le speranze estive della sinistra? Per lo meno, l'avvenuta riaggregazione di tutta l'opposizione, l'unione sacra dei rossi, dei fucsia, dei rosé, degli arcobaleno. Ve la ricordate quella memorabile foto davanti alla Corte di Cassazione di tutto il caravanserraglio schierato a depositare due referendum farlocchi anti-autonomia? C'erano tutti, dalla Boschi a Rosy Bindi, dai combattenti e reduci di Rifondazione Comunista fino all'Anpi e al Wwf. Elly, diramando le convocazioni, non si era scordata proprio nessuno: tutti uniti “contro le destre”. Ecco, arrivati al 27 settembre, cosa resta? Renzi non lo vuole praticamente nessuno. Conte sta un po' dentro e un po' fuori (e non ha nemmeno firmato i referendum sulla cittadinanza): in più, nel tempo libero, si prende a pesci in faccia con Beppe Grillo. Al Parlamento europeo, sull'Ucraina, solo il Pd ha votato in otto modi diversi. L'altro giorno al Parlamento italiano, sulla cittadinanza, i presunti alleati hanno presentato ben quattro mozioni diverse. Fino alla spettacolare litigata di ieri sulla Rai. Morale: un caos senza precedenti, una lite continua nello spogliatoio prim'ancora di riuscire a schierare uno straccio di formazione con la stessa maglietta. Rimarrebbe il refugium peccatorum referendario, ma pure lì – direbbe il poeta – l'”apparir del vero”, sotto forma di giudizi della Corte Costituzionale sull'ammissibilità dei quesiti, avrà la forma di una strage. Il quesito sulla cittadinanza è manipolativo e sarà fatto a brandelli. Un quesito sull'autonomia (quello di abolizione integrale) è contrario alla giurisprudenza della Consulta, mentre l'altro (quello di abrogazione parziale) cancella troppo poco e dunque non serve a niente. Quanto ai referendum sul jobs act, due quesiti manifesto (su quattro complessivi) sono volti a reinserire le causali nel contratto a tempo determinato (innescando liti e contenziosi infiniti) e ad abolire un residuo delle norme renziane, e cioè quel contratto a tutele crescenti che era già stato smozzicato e ridimensionato sia dal primo governo Conte che dalla Corte Costituzionale. Morale: con un approccio totalmente ideologico, i firmatari dei referendum inseguono nemici immaginari e avversari inesistenti. LA GRAN GIOCATA In ultima analisi, politicamente parlando, cosa ci si può aspettare? Il nulla mischiato col niente. Salvo un po' di urla di Landini sul jobs act, di Magi sulla cittadinanza (assolto per non aver compreso il fatto), di Bonelli e Fratoianni a prescindere. Ed Elly Schlein? Toccava a lei cucire la coalizione e soprattutto guidarla, svolgere la parte della possibile candidata premier o comunque della leader. E invece? Insegue su tutto: a partire dai temi decisivi della collocazione geopolitica. Oppure – come nel caso della Rai – mostra di non conoscere l'abc della manovra politica, realizzando un caso più unico che raro di partito storicamente lottizzatore che resta a bocca asciutta. E non è un titolo di merito né l'una né l'altra cosa, sia chiaro: ma combinarle simultaneamente è un capolavoro che poteva riuscire solo a Elly, che comunque sorride sempre a favore di telecamera. Contenta lei...
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