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Capezzone: il duro scontro di Cartabellotta con l'Italiano
05-12-2024, 06:43
Durissimo scontro a fuoco in Commissione Covid. Il grave fatto di sangue si è verificato quando tre incolpevoli passati remoti, pacifici e inermi, si sono trovati di fronte a uno spietato e armatissimo Nino Cartabellotta. Senza motivo apparente e senza essere stato provocato dai verbi, il presidente di Gimbe ha sparato a sangue freddo crivellando di colpi gli incolpevoli verbi “chiedere”, “dire”, “tradurre”. Risultato? Giudicate voi: «chiesimo», «dissimo», «tradummo». E così, i tre verbi sono rimasti immobili sul pavimento della Commissione in una pozza di sangue, freddati dalle tre sgrammaticatissime pallottole dell'audito. A onor del vero, senza che ciò suoni come attenuante a favore di Cartabellotta, va detto che il leghista Alberto Bagnai, oltre ad aver messo alle corde nel merito il presidente di Gimbe sulle faccende relative alla gestione della pandemia, si è comportato da vero e proprio agente provocatore, intuendo la probabilissima colluttazione violenta tra Cartabellotta e la lingua italiana, e scegliendo di parlargli al passato remoto («Non ricordo cosa disse Gimbe», ha diabolicamente buttato lì il parlamentare). Questa oggettiva provocazione, cioè il tentativo di costringere il presidente di Gimbe a una proibitiva coniugazione dei verbi in un tempo a lui misterioso, ha gettato nel panico il Cartabellotta, inducendolo a sparare all'impazzata. Sorridiamo, amici lettori: al momento si tratta di un'attività non vietata e non tassata, e dunque approfittiamone. Non ci resta altra strada per consolarci: questi (i Cartabellotta della situazione) sono i soggetti che venivano consultati come oracoli ai tempi del Covid. Per carità, a scanso di equivoci e di querele: nessuno si sogna di sindacare le loro competenze e meno che mai la loro buona fede. Ma questi svarioni avrebbero dovuto suggerire in primo luogo all'interessato – e ad altri come lui – un pochino di prudenza, una maggiore disponibilità ad ascoltare le ragioni degli altri. E invece no: veli ricordate tutti i televirologi, categorici e ieratici, solenni e sacerdotali, sprezzanti verso dubbiosi e dissenzienti, insensibili a qualunque richiamo alla libertà personale di scelta. Il contrario di ciò che uno scienziato dovrebbe fare: anziché restituire la dimensione (sana) del dubbio, delle approssimazioni successive, del confronto tra tesi, si sono fatti per tre anni presentare come dei Mosè appena discesi dal Sinai con le tavole della legge. Se ci pensate, una delle cose culturalmente più devastanti avvenute nel triennio Covid è stata la quantità di volte in cui, perfino con nonchalance, un conduttore televisivo, dando la parola al virologo di turno, lo introduceva dicendo: «E ora ascoltiamo la scienza». Ma come? Ma quando mai? A uno a uno, molti dei teoremi elaborati in quel periodo sono stati smentiti. E adesso arrivano pure gli attentati contro il passato remoto dei verbi. Per la cronaca, se questa è stata la forma esteriore dell'audizione del Cartabellotta, la sostanza contenutistica si è rivelata perfino peggiore su tutte le questioni più controverse, a partire da un'appassionata difesa del lockdown. C'entra qualcosa con la strage dei passati remoti? Non sapremmo dirlo, ma prudentemente ci affideremmo a una lapidaria frase di un personaggio di un romanzo di Sciascia, “Una storia semplice”. In un memorabile dialogo, un ex asino a scuola diventato magistrato quasi si vanta con il suo antico professore: «Ero piuttosto debole in italiano. Ma, come vede, non è poi stato un gran guaio: sono qui, procuratore della Repubblica...». Ma il vecchio docente lo inchioda: «L'italiano non è l'italiano: è il ragionare. Con meno italiano, lei sarebbe forse ancora più in alto».
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