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Capezzone: la grande illusione dem di far cadere il governo
29-08-2024, 08:55
Nell'eterno conflitto tra la poesia delle illusioni e la prosa della realtà, a sinistra è quasi sempre la prima ad avere la meglio. Del resto, le illusioni – vale nella vita pubblica come in quella privata – sono un grande anestetico, attenuano i dolori, allontanano la percezione della sofferenza: ma la guarigione da una malattia è tutt'altra cosa. Uno sguardo freddo – se ci fossero più teste lucide a sinistra – dovrebbe indurre lo schieramento di opposizione a un ragionato pessimismo: nonostante le evocazioni del campo largo come cosa già fatta, nonostante le foto di gruppo davanti alla Corte di Cassazione, nonostante il training autogeno costante, i problemi restano e anzi ad agosto si sono perfino aggravati. La coalizione ancora non c'è; il rapporto con Renzi è più un problema che una risorsa; la faida tra Conte e Grillo è reale. E soprattutto, anche ammesso che la sinistra trovi un suo ubi consistam nell'ammucchiare tutto ciò che è ostile alla Meloni, un minuto dopo – in fase construens – il bluff sarebbe fin troppo facile da svelare. Dalla politica estera al welfare, dall'energia alla giustizia, è complicatissimo trovare un solo tema su cui le diverse anime del centrosinistra possano evitare scontri laceranti. INSIDIE NASCOSTE La stessa sequenza di elezioni regionali d'autunno (che qualcuno, a sinistra, vedeva come un comodo 3-0 calcistico: Umbria, Emilia-Romagna, Liguria) nasconde insidie: proprio in Liguria, dove l'aggressione mediatica e giudiziaria contro Giovanni Toti avrebbe dovuto spalancare le porte ai progressisti, le cose non vanno come al Nazareno speravano. Morale: per tutte queste ragioni, la desaparecida Schlein, che aveva promesso un'«estate militante» ma ad agosto è sparita dai radar, è assai più indietro nel lavoro di tessitura di quanto sperasse. E invece? E invece, nonostante la ragione suggerisca alla sinistra prudenza e pessimismo, da quelle parti si baloccano con l'illusione di una caduta prossima ventura del governo. E ogni settimana si autoconvincono del fatto che un certo casus belli sarà quello “giusto” (dal loro punto di vista). La settimana scorsa si sono attaccati allo ius scholae, che si illudevano potesse essere la perfetta testa d'ariete per sfondare il portone di Palazzo Chigi, scardinando la maggioranza. E allora ecco le interviste per blandire Antonio Tajani, il profluvio di editoriali per incoraggiare gli azzurri a disarticolare il centrodestra, il ripescaggio (selettivo e omissivo) delle dichiarazioni passate di Silvio Berlusconi per incoraggiare l'operazione. Adesso però la pistola si è rivelata scarica. E allora che si fa? Elementare, Watson: si ricomincia con un nuovo pretesto, subito individuato nell'autonomia. E così la giostra ricomincia a girare: interviste ai membri più loquaci della Cei (tipo l'ormai leggendario vescovo Savino, che, con scarso controllo delle parole e forse limitata consapevolezza storica, invoca un «nuovo Risorgimento»: che ci vorrebbe, in effetti, ma per ragioni un po' diverse da quelle evocate dal prelato...), sollecitazione verso qualche governatore meridionale affinché faccia il Masaniello, attribuzione alla riforma (futura) dei mali presenti. Il solito circo di polemichette e mistificazioni: che inevitabilmente non funzionerà. Anche chi dovrebbe essere guidato da una maggiore esperienza politica come Pierluigi Bersani si fa trascinare dal gusto della propaganda, e dichiara testualmente al Corriere della Sera: «Il governo è uno sgabello che sta su tre piedi: autonomia, premierato e giustizia. Se viene via un piede, è facile che perda l'equilibrio». E qui l'errore di calcolo è marchiano: non solo perché la maggioranza ha certamente i suoi problemi ma non mostra istinti suicidi, e dunque non si sfascerà; ma soprattutto perché rivela – da parte della sinistra – una visione chiusa nel recinto del palazzo, un'attitudine a leggere la realtà attraverso schemi politicisti. È vero che le tre riforme citate sono care – ciascuna – a uno dei tre partiti della maggioranza: ma nessuno dei tre provvedimenti ha valore di vita o di morte. ALCHIMIE DI PALAZZO Da sempre, semmai, le sorti dei governi si giocano sull'economia: ed è quello – da qui a fine legislatura – il test più significativo a cui la maggioranza sarà sottoposta. In altri termini: da qui al 2027, quanto grande sarà il numero di italiani che godranno di un qualche – magari anche limitato – alleggerimento fiscale? Questo è il punto che sembra sfuggire totalmente ai radar della sinistra. E quei radar, persi nelle geometrie interpartitiche, paiono totalmente inadatti a intercettare ciò che davvero la maggioranza degli elettori si attende: il grosso dei cittadini è totalmente disinteressato alle alchimie di palazzo, e – al momento della resa dei conti elettorale – penserà soprattutto alla performance economica del governo, confrontata con ciò che avrebbe fatto o farebbe – su quello stesso terreno dei soldi in tasca – lo schieramento alternativo. Ma l'essere scollegati dalla realtà (anzi, scriviamolo in inglese, out of touch, così ci comprendono anche gli autoproclamati “competenti”) è ormai un marchio di fabbrica dei nostri progressisti, sempre vicini ai corridoi del potere ma lontani dal sentire delle persone comuni.
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