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Carioti: Israele "riunifica" il Golan. Netanyahu: "Assad caduto grazie a noi"
09-12-2024, 06:31
La stella polare di Israele è sempre l'Iran: ciò che è male per il regime di Teheran è un bene per Gerusalemme. E la caduta di Bashar al-Assad è un colpo durissimo per gli ayatollah. Il presidente siriano era un elemento fondamentale dell'«asse della resistenza» creato contro Israele e gli Stati Uniti. Finché ha potuto, Teheran lo ha aiutato con soldi, armi e militari, inclusi i miliziani sciiti di Hezbollah. Un'alleanza che risale alla rivoluzione islamica iraniana che nel 1979 portò al potere l'ayatollah Khomeini: all'epoca la Siria era governata da Hafez al-Assad, padre del dittatore appena fuggito in Russia. In cambio l'Iran – con la benedizione di Mosca – otteneva un alleato nei conflitti contro l'Iraq, basi militari in territorio siriano e un corridoio che arrivava sino al Libano dove spadroneggiava Hezbollah, cioè sino al Mediterraneo e ai confini dell'odiata «entità sionista». . «UN GIORNO STORICO» È crollato tutto in pochi giorni: l'attacco dei ribelli è iniziato il 27 novembre. La fine di Assad arriva dopo una serie di umiliazioni inflitte da Israele all'Iran, incluse le uccisioni di Mohammad Reza Zahedi, generale delle Guardie della rivoluzione iraniana, di Ismail Haniyeh, il leader di Hamas eliminato a Teheran, e di Hassan Nasrallah, capo storico di Hezbollah. Il sito israeliano Ynetnews scrive che «ciò che sta accadendo in questi giorni in Medio Oriente non si può trovare nemmeno negli scenari più ottimistici immaginati dopo l'attacco a sorpresa del 7 ottobre». Parole simili a quelle dette al New York Times da un membro dei Guardiani della rivoluzione di Teheran, per il quale «la caduta della Siria è la caduta del Muro di Berlino dell'asse della resistenza iraniano». Si spiega così l'esultanza di Benjamin Netanyahu, che è andato al monte Bental, al confine tra Israele e Siria, e ha definito quello di ieri «un giorno storico nella storia del Medio Oriente. Il regime di Assad è un anello centrale dell'asse del male dell'Iran: questo regime è caduto». Il primo ministro israeliano si è preso il merito di ciò che è successo: «È il risultato diretto dei colpi che abbiamo inflitto all'Iran e a Hezbollah, i principali sostenitori del regime di Assad». Parlando a Gerusalemme con i familiari di coloro che sono stati rapiti il 7 ottobre, ha aggiunto che la caduta del regime di Damasco «potrebbe contribuire a far progredire un accordo per il ritorno degli ostaggi». La soddisfazione, però, è solo una parte della reazione israeliana. Lo stesso Netanyahu ha avvertito che «le nuove opportunità non sono prive di rischi». Il pericolo è l'insediamento in Siria di un nuovo nemico, ostile quanto quello che c'era prima e - a differenza di questo - non controllabile da Vladimir Putin, con cui Israele ha sempre tenuto aperto il dialogo. Abu Mohammed al-Jolani, capo del gruppo islamista Hts, nuovo “padrone” della Siria, in passato ha detto che non si sarebbe fermato lì dove è arrivato ieri: «Non solo raggiungeremo Damasco, ma, se Allah vorrà, Gerusalemme ci attenderà». Israele ha quindi l'obbligo di guardarsi da chi ha preso il potere al posto di Assad. Ha già iniziato a farlo: truppe di terra con carri armati, appoggiate dall'aeronautica, sono state schierate sulla cosiddetta Linea Alpha, nella “zona cuscinetto” delle alture del Golan, al confine tra Siria e Israele, occupando anche il lato siriano del monte Hermon, punto strategico d'osservazione e controllo. È la prima volta che accade dall'accordo del 1974, che pose fine alla guerra dello Yom Kippur. IL NUCLEARE IRANIANO La mossa, spiegano gli israeliani, si è resa necessaria perché dall'altra parte di quella linea i soldati siriani hanno abbandonato le posizioni, ed è stata fatta in coordinamento con la missione degli osservatori Onu (Undof) responsabile dell'area. Sebbene sia una misura temporanea, potrebbe durare a lungo. «Faremo quello che è necessario per proteggere il nostro confine e garantire la nostra sicurezza», ha avvisato Netanyahu. Dal suo governo assicurano che non c'è intenzione di intervenire nelle vicende interne della Siria, a meno che da lì non giungano minacce alla popolazione o agli interessi israeliani. Per questo già martedì (ma si è saputo solo ieri) le forze israeliane hanno colpito una fabbrica di armi chimiche del regime di Assad, in modo che i ribelli non possano impossessarsene. Anche ieri, alcuni arsenali e siti militari siriani vicini al confine sono stati distrutti dall'aviazione con la stella di David. È questa, adesso, la seconda preoccupazione di Gerusalemme: impedire che i ribelli islamisti mettano le mani sulle armi del regime sconfitto e delle milizie filo-iraniane, che potrebbero usarle per colpire Israele. La prima è sempre il programma nucleare iraniano, che nei giorni scorsi ha accelerato la produzione di uranio arricchito, con l'obiettivo di ottenere il prima possibile la quantità necessaria a costruire una bomba. La reazione di Teheran all'uscita di scena del suo alleato più importante è la grande incognita che ora pesa su tutto il Medio oriente.
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