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Carioti: nel Pd i casi di antisemitismo si moltiplicano ma Elly nega e pensa di imitare le follie francesi
11-07-2024, 08:10
L'antisemitismo di tanti esponenti del Pd, giovani e non solo. Le visioni inconciliabili che nel suo partito (per tacere dell'ipotetico campo largo) convivono in materia di politica estera, spese militari e aiuto all'Ucraina. L'impossibilità di coprire, senza far esplodere la pressione fiscale, le mille nuove spese che promette agli elettori (più onesto il suo alleato Angelo Bonelli, che già pregusta nuove patrimoniali «per finanziare le politiche sociali e una transizione ecologica socialmente sostenibile»). Gli elefanti nella stanza di Elly Schlein sono tanti, ma barriscono ignorati. Alcuni si sono intravisti ieri, nell'intervista che la segretaria piddina ha dato al Corriere della Sera. Apparsi per un istante e subito ricacciati indietro dalla loro ospite. Negazione dell'evidenza, rimozione del lato oscuro della sinistra, congiura del silenzio: la credenza – al confine tra pensiero primitivo e ciarlataneria elettorale – secondo cui, se un partito non riconosce le proprie malattie, queste non esistono più. Tipo l'antisemitismo, appunto. Elly dixit: «Il problema non riguarda certo il nostro partito. È una forma di odio e di discriminazione che abbiamo sempre contrastato e continueremo a contrastare». C'era un modo onesto per rispondere alla domanda, e suona più o meno così: l'antisemitismo è un problema che riguarda tutti, dopo il 7 ottobre è cresciuto, a sinistra ce n'è tanto e il Pd non ne è immune, però stiamo facendo il possibile per rimuovere tutte le metastasi di simpatia, tolleranza e ambiguità verso questo male. Schlein si guarda bene dal dire qualcosa di simile, confermandosi affetta dalla stessa «malattia dell'anima» che vent'anni fa il sociologo Luca Ricolfi diagnosticò ai suoi predecessori: il «senso di superiorità etica», la convinzione che nessun difetto morale possa radicarsi dalle loro parti. Non avrà i baffi, Elly, ma la sua spocchia è quella di Massimo D'Alema. Eppure, solo per restare agli ultimi casi, c'è la scrittrice Cecilia Parodi, orgogliosa di «odiare gli ebrei e gli israeliani», tanto da volerli impiccare uno ad uno. A febbraio fu invitata dai Giovani democratici di Milano a parlare di «Colonialismo & Apartheid in Palestina» (il titolo del convegno già diceva tutto su come la pensano lì, la Parodi era la ciliegina) e pochi giorni fa è stata gradita ospite all'evento “Dialogues for Gaza” sponsorizzato dal Comune di Roma, retto (si fa per dire) dal pd Roberto Gualtieri. Sono queste le ragioni che quattro mesi fa hanno spinto Daniele Nahum, consigliere comunale a Milano, a lasciare il partito: «È stata sdoganata, soprattutto negli ambienti della giovanile del Pd, la parola “genocidio”. In chi la utilizza c'è la volontà di comparare gli ebrei ai nazisti». È lo stesso partito che nella giunta della riconquistata Perugia, laboratorio in cui Schlein intende testare le future alchimie nazionali, sta per dare la poltrona di assessore al Sociale alla trentenne Costanza Spera, che lavora nell'ateneo locale e ha firmato l'appello in cui si chiede di boicottare la collaborazione con le università di Israele, colpevole di «genocidio» e «apartheid». Il marcio è lì, esposto al sole, urlato in piazza, stampato sui manifesti e istituzionalizzato, non accorgersene è impossibile, eppure la segretaria del Pd ci riesce. E come lei tanti altri. Ieri, in Senato, dopo che il generale Pasquale Angelosanto, coordinatore nazionale per l'antisemitismo, aveva spiegato che «le istanze anti-sioniste sono trasversalmente condivise in seno ai circuiti della sinistra antagonista, marxista-leninista e anarco-insurrezionalista, e dell'estrema destra neo-fascista e neo-nazista», la senatrice del Pd Simona Malpezzi, che del gruppo non è certo la peggiore, ha tenuto a dire che da loro certe cose non succedono, «in nessuna sede del Pd è stata invitata la dottoressa Parodi». Ignorando (o forse no) che sulla locandina dell'evento di febbraio c'era il simbolo dei giovani del suo partito, circolo Nilde Iotti. ALLONS ENFANTS Del resto, da domenica, il modello del Pd e della sua leader è il Nouveau Front populaire. Per dire che «è stato bello vedere quella piazza in festa, piena di giovani che hanno rifiutato il razzismo di Le Pen e Bardella», Schlein deve negare l'esistenza dell'elefante francese, il razzismo antisemita di Jean-Luc Mélenchon e dei suoi compagni di strada, sparso a piene mani per prendere i voti degli elettori islamici. Non diversamente da ciò che fa una certa sinistra italiana, con le sue distinzioni pelose tra antisionismo e antisemitismo. Il prezzo per aver eletto chi ha certe idee si paga anche in soldi. Quello di Mélenchon e François Hollande è un programma di governo che costerebbe 200 miliardi di euro in cinque anni, da coprire con nuove imposte, inclusa una che decurterebbe del 90% i redditi superiori a 400mila euro. Proposte, scrive Le Figaro, «che ormai nessun Paese al mondo osa prendere in considerazione, che condurrebbero alla bancarotta economica e finanziaria, alla disoccupazione di massa e all'impoverimento generale». Tutto vero, tranne una cosa: una sinistra che vuole governare con quelle ricette c'è, ha casa a un tiro di schioppo dalla Francia, al di qua delle Alpi.
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