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Daniele Capezzone: E sul ring va ko la "fasciosfera"
08-08-2024, 06:42
Ci sono molti modi di odiare le donne. E allora sarà un duro lavoro, ma qualcuno dovrà pur farlo: si tratta di informare la sinistra italiana, sia nella bolla politica sia nelle sue propaggini mediatiche, che è rimasta l'ultima al mondo a raccontare a senso unico – secondo schemini farlocchi precostituiti – la vicenda che riguarda Imane Khelif e Lin Yu Ting, le due atlete dell'Algeria e di Taiwan dotate di cromosomi maschili e di livelli abnormi di testosterone. Il racconto politico e mediatico dell'Italia progressista può essere così riassunto: da una parte (cioè con le due pugili iperandrogine) ci sarebbero le persone perbene, i portatori di cuore e di sentimenti nobili, gli empatici e simpatetici, le anime gentili e gli spiriti elevati; dall'altra parte, nell'orrida fasciosfera, starebbero invece i buzzurri, i sovranisti, i selvaggi ostili a qualunque civilizzazione, i putinisti, i vannacciani, i reprobi da internare urgentemente in qualche lebbrosario morale. Su questa base, sono stati elaborati due format narrativi fissi pronti all'uso. Se le due atlete nell'occhio del ciclone avessero perso, i nostri compagni sarebbero saltati su a dire: «Avete visto? Il problema non c'era. Era tutta una orrenda costruzione sovranista». Se invece avessero continuato a vincere, sarebbe scattato il piano b, e cioè una narrazione del dolore centrata sui tormenti delle due ragazze e sulla sadica nequizia dei loro critici. Ora, tanto per cominciare, ad eccezione di qualche leone datastiera (ma quelli purtroppo abbondano in ogni tipo di dibattito), nessuno si sogna di offendere le atlete dell'Algeria e di Taiwan. È perfino inutile doverlo sottolineare: si tratta di persone che vanno assolutamente rispettate. Di più: per certi versi, sono proprio loro le prime vittime della deriva ideologica che le ha poste sotto i riflettori e che le fa salire sul ring sotto una pressione tutt'altro che invidiabile. LE VOCI DEL MONDO Dopo di che, fatelo con delicatezza perché lo choc potrebbe sconvolgere i nostri progressisti: ma la grottesca caricatura che vi ho riassunto fino qui viene spacciata ai lettori e ai telespettatori soltanto a queste latitudini, mentre ovunque, in giro per il mondo, a esprimere dubbio una esplicita contrarietà alla possibilità di far gareggiare quelle atlete in competizioni femminili è un ventaglio molto articolato di personalità, che solo una inguaribile malafede può tentare di fascistizzare e ghettizzare. Infatti, come Libero vi ha raccontato nei giorni scorsi, già tre figure tutt'altro che riducibili allo stereotipo della “destra becera” si erano espresse in termini critici. La prima era stata Martina Navratilova, leggendaria campionessa del tennis degli anni Ottanta, oltre che persona omosessuale e di opinioni politiche notoriamente non trumpiane. La seconda era stata la scrittrice J.K. Rowling, che ancora ieri ha rincarato la dose, con una raffica di interventi sui suoi canali social. E la terza era stata, intervistata proprio su Libero, la prima olimpionica italiana capace di conquistare a suo tempo una medaglia nel nuoto, Novella Calligaris, che aveva rimproverato al Cio la decisione di alzare irragionevolmente i livelli ammessi di testo sterone. E ieri si sono aggiunti altri due pareri autorevolissimi, uno sportivo e uno scientifico. Sul primo versante ha parlato il britannico Sebastian Coe, già olimpionico e oggi presidente mondiale dell'atletica leggera: e Coe ha sparato a palle incatenate contro il Cio, colpevole di non aver adottato una linea chiara sul tema:«È semplice: bisogna avere una politica che affronti l'attuale controversia sull'ammissibilità di genere nel pugilato olimpico», ha detto l'inglese. «Se invece non c'è» ha aggiunto «si finisce in situazioni come questa». Impossibile dargli torto. RISCHI MORTALI E infine, non certo ultimo per importanza, è arrivato – sul versante scientifico – il commento pubblicato ieri sul quotidiano liberalconservatore più autorevole al mondo, il Wall Street Journal, firmato dal biologo evoluzionista Colin Wright, fellow del Manhattan Institute, il quale ha messo nero su bianco esattamente le tesi che i lettori di Libero hanno potuto leggere sin dal primo giorno di questa vicenda: consentire a chi sia in quelle condizioni (rispetto a cromosomi e testosterone) di «competere contro le donne in qualunque sport che richieda forza o velocità è già scorretto, ma farlo in sport femminili da combattimento mette a rischio la sicurezza delle donne. Non è un'esagerazione dire che trascurare la biologia in nome dell'ideologia potrebbe far uccidere qualcuno». Non si sarebbe potuto dire meglio.
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