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Daniele Capezzone: Matteo Salvini non ha diritto nemmeno di difendersi
24-09-2024, 08:22
I lettori di Libero conoscono ormai fin troppo bene le nuove regole del gioco del dibattito politico e mediatico così come piace impostarlo ai progressisti. Badate: non è solo una tendenza italiana. Nei confronti di Donald Trump il meccanismo è praticato con una violenza perfino maggiore: si è giunti al punto di colpevolizzarlo pure per le pistolettate sparate (nel secondo caso: sparabili) contro di lui. Il curioso schema logico è stato il seguente: hanno sparato a Trump? È colpa di Trump. Hanno provato a risparargli? Eh, ma allora i guai se li va proprio a cercare. E così, una volta scardinati i parametri di un ragionamento minimamente logico, non c'è più alcuno scrupolo nel riproporre ad libitum questo format: ad esempio, contro Matteo Salvini, che per molti versi è il bersaglio ideale per la sinistra. Dunque, nel racconto progressista, il leader leghista “deve” sempre essere colpevole, anzi carnefice: pure quando è vittima, anzi soprattutto quando lo è. Capite bene che ormai, da questo punto di vista, la narrazione prevale sulla realtà, e gli elementi soggettivi schiacciano qualunque valutazione oggettiva. Non contano più i fatti, ma i soggetti in campo: non cosa fai, ma chi sei. Se sei stato preventivamente iscritto nella lavagna dei “cattivi”, ci resterai sempre, senza alcuna redenzione o eccezione possibile. Curioso, no? Accusano Trump di fabbricare “post-verità” (il che a volte accade, sia chiaro): ma loro, da sinistra, sono produttori seriali di “pre-verità”, cioè di versioni costruite a tavolino sulla base dell'identità degli attori. Se sei “quello di destra”, allora puoi solo avere torto ed essere picchiato. PROCESSO KAFKIANO Si prenda il caso dello scombiccheratissimo (e pericoloso) processo contro Salvini. In un paese che avesse conservato un minimo di senno, mai un ministro sarebbe finito a giudizio per un atto compiuto nell'esercizio delle sue funzioni. E mai a portarlo a processo con un voto parlamentare sarebbero stati i suoi ex alleati politici grillini (con il concorso di Pd e renziani). E invece è puntualmente accaduto. Non solo: l'accusa ha formulato una ipotesi di condanna abnorme (sei anni: come se il leader leghista fosse una specie di stupratore), e le parti civili hanno aggiunto la lunare richiesta di un milione di euro di risarcimento. Di nuovo, se ci fosse stato un minimo di civiltà nel discorso pubblico, ci saremmo aspettati – almeno a posteriori – che alcune voci di sinistra solidarizzassero con Salvini: magari contestandone le politica sull'immigrazione, ma riconoscendo di dover battere l'avversario nelle urne, non nei tribunali. E invece no. Non solo: sui giornali amici della sinistra, la bastonatura di Salvini prosegue in forme sempre più incredibili. Ieri il Corriere della Sera, in un commento autorevole, è arrivato a mettere indirettamente sul conto del leader leghista perfino le «valanghe di insulti e minacce» (citiamo) che sarebbero arrivate ai rappresentanti dell'accusa. Ma davvero Salvini può essere responsabile di frasi offensive dette e scritte da altri? Avrebbe dunque dovuto rinunciare a difendersi? Non solo: il Corriere va oltre e stabilisce che l'intenzione di Salvini di non dimettersi in caso di eventuale condanna sarebbe la prova regina dello “sbilanciamento dei poteri” in atto. USO MEDIATICO Ora, a parte il fatto che dal 1992 a oggi al Corriere qualcuno deve essere vissuto altrove (nel senso che lo sbilanciamento è stato tutto a favore del potere giudiziario da oltre trent'anni), resta da capire come possa essere ritenuta auspicabile l'ipotesi inversa. Vogliamo cioè stabilire che un politico debba in ogni caso dimettersi dopo un avviso di garanzia? O magari dopo una condanna in primo grado? Abbiamo dunque abolito il principio costituzionale di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio? È stata rottamata nottetempo quella Costituzione che altri (non noi) definirono “la più bella del mondo”? Ma non basta ancora, perché dove si ferma il Corriere arriva la Stampa con un altro commento, che – tenetevi forte – rimprovera a Salvini nientemeno che un «uso mediatico della giustizia». Ah sì? Quindi non c'è un uso politico della giustizia da parte di chi tenta di mettere fuori gioco un avversario. No, ci spiegano da Torino: semmai, c'è l'uso mediatico della giustizia da parte di un imputato che osa difendersi. La citazione lascia senza respiro, nel senso che pare una beffa, uno scherzo, uno sberleffo: «In questo caso il circo mediatico-giudiziario è stato attivato e viene sollecitato da chi, normalmente, è vittima di questo circuito». La perla è l'avverbio “normalmente”: dunque ormai, per la Stampa, è “normale” – desumiamo – che un imputato venga fatto mediaticamente a pezzetti già prima della condanna. E se per caso il Salvini della situazione prova a difendersi e a combattere un po', cioè – guarda che pretese! – a parlare all'opinione pubblica per far conoscere le sue ragioni, allora è lui che travalica. Incredibile. SMONTATELO Davanti a queste enormità, appare decisamente più corretta perfino la scoperta ostilità del Foglio, che pare accantonare il garantismo in nome della legittima avversione politica contro Salvini. Del quale pubblica amplissimamente le ragioni difensive (e questo fa onore al quotidiano), salvo titolare così: «Conoscere la difesa di Salvini. Per smontarla». Perfettamente legittimo, lo ribadisco volentieri. Anche se in linea generale bisognerebbe smontare un'accusa più che una difesa. La sensazione è che, dalle parti di Stampa e Corriere, qualcuno – magari inconsapevolmente – abbia in testa lo schema dei processi politici sotto le dittature in cui l'accusatore elenca crimini (poco importa se veri, presunti, verosimili), l'accusato china il capo e riconosce perfino colpe non commesse, e tutto finisce con l'eliminazione (se va bene, solo politica) del reprobo. Sconsiglieremmo a tutti, nell'Italia del 2024, di riproporre caricature e imitazioni di quel modello atroce.
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