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Fabio Rubini: l'esultanza del Pd alla sentenza della Corte sull'Autonomia rivela l'incoerenza di questo partito
17-11-2024, 11:25
L'esultanza scomposta di Elly Schlein e dei suoi capataz di fronte al pronunciamento della Corte Costituzionale circa la legge sull'Autonomia, ha finalmente rivelato la vera natura di questo Partito democratico. Da questo momento in poi non sentiremo più parlare del Pd come di un partito autonomista. Con le sue dichiarazioni e con le manifestazioni di giubilo, la sinistra ha cancellato decenni della sua storia politica. Senza andare troppo indietro nel tempo, basterà ricordare che nel 1994 la “gioiosa macchina da guerra” guidata da Achille Occhetto, pubblicò - facendolo distribuire dall'Unità allora diretta da Walter Veltroni - un libricino che conteneva il programma elettorale dell'allora Pds. Tra i punti caratterizzanti c'era proprio l'Autonomia, che allora si poneva come via di mezzo tra il centralismo storico e il più spinto federalismo teorizzato dalla Lega di Umberto Bossi. Il concetto di Autonomia contenuto in quel libricino venne poi ripresa dai governi Prodi e poi da quelli di D'Alema e Amato che, con buona pace della Schlein, fecero il complicato lavoro che nel 2001 portò alla riforma del Titolo V della Costituzione, che introdusse nella Carta proprio il concetto di Autonomia differenziata. All'epoca furono in molti a sostenere che quella riforma, in realtà, fosse stata approvata solo per disarmare la crescente voglia di autonomismo che stava impermeando il Paese e togliere un'arma di campagna elettorale al Carroccio e più in generale al centrodestra. E forse avevano ragione, visto che per oltre vent'anni quella riforma venne messa in naftalina e dimenticata. Anzi, fu proprio la sinistra con la riforma Del Rio che cancellava le province, ad andare nella direzione opposta. A ridare impulso alla voglia di Autonomia sono stati, nel 2017, due governatori leghisti, Luca Zaia in Veneto e l'indimenticato Roberto Maroni in Lombardia. Furono loro due che ebbero il coraggio di portare le loro regioni a votare un referendum consultivo che, il 22 ottobre di quell'anno, portò alle urne più di cinque milioni di persone che con percentuali bulgare dissero “Sì” all'Autonomia. Quella dimostrazione di forza scosse anche la sinistra che coi suoi governatori iniziò una corsa ad intestarsi la campagna autonomista. In Lombardia il Pd approvò in maniera entusiasta la risoluzione con la quale si dava mandato a Roberto Maroni non solo di andare a trattare maggiori forme di Autonomia, ma il documento elencava anche una per una le materie sulle quali chiederle. Erano - e sono 23 -, le stesse che oggi il Pd disconosce. Era il 7 novembre 2017. Pochi mesi dopo, il 30 gennaio 2018 tocca alla Campania di Vincenzo De Lucasì, lo stesso che oggi guida ii comitato contro l'Autonomia - approvare una mozione per chiedere maggiore autonomia. Il 14 marzo 2018 tocca invece alla Puglia di Michele Emiliano approvare una delibera di giunta che istituisce un «Gruppo per lo studio dell'Autonomia differenziata» col compito di «approfondire nell'immediato e con urgenza» il tema. Il 6 giugno 2018 anche il Lazio di Nicola Zingaretti approva in Consiglio regionale un ordine del giorno che «impegna il presidente della giunta regionale ad avviare il negoziato con il governo». Il Lazio chiede cinque materie, tra queste anche quella relativa ai “rapporti internazionali” sulla quale oggi la Schlein ha montato una cagnara politica sul rischio di spaccare il Paese. Il caso più emblematico, però, è quello della Toscana dell'allora governatore Eugenio Giani, che nel tentativo di far naufragare i referendum di Lombardia e Veneto, già il 13 settembre 2017 aveva avviato le procedure «finalizzate all'attribuzione di condizioni particolari di autonomia ai sensi dell'art. 116, comma terzo, della Costituzione». Un lavoro che si concretizza poi nel maggio 2018 con l'approvazione di un documento dal titolo “Proposte di regionalismo differenziato per la regione Toscana”. Senza dimenticare l'Emilia Romagna con Bonaccini presidente e Schlein vice, pure loro ferventi sostenitori dell'Autonomia. Chiudiamo con il dimenticabile governo Conte bis e il tentativo da parte del ministro Boccia di fare una legge quadro per applicare l'Autonomia differenziata. Non ci riuscì - o forse fece finta di provarci-, ma allora quella per il Pd era la soluzione ideale, costituzionalmente rispettosa. Quando la legge quadro l'ha impostata, scritta e approvata, il centrodestra, per il Pd non andava più bene. Morale: quando alla vigilia di qualche tornata elettorale - magari alle prossime regionali in Veneto o in Lombardia - sentiremo il candidato di turno della sinistra parlare dell'importanza di concedere ai territori maggiori forme di Autonomia, saremo legittimati a sotterrarlo con una sonora pernacchia.
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