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Flotilla, attivisti in carcere in Italia? Cosa può accadere
Oggi 04-10-25, 04:45
«Qualcuno, magari le autorità governative, dovrebbe fare un esposto alla magistratura: ci sono tutti gli estremi, c’è il codice penale, chi è salito sulla Flotilla e ha provato aviolare il legittimo blocco navale di Israele davanti a Gaza, teoricamente, rischia il carcere». David Elber è un esperto di diritto internazionale, sulla questione israeliana ha scritto un libro il cui titolo dice ogni cosa (Due pesi e due misure. Il diritto internazionale e Israele, edito da Belforte Salomone), da anni si occupa di queste tematiche: è uno serio, uno che studia prima di aprire bocca, uno che snocciola convenzioni e articoli a memoria. Come questo, il numero 244 del codice penale italiano. Titolo: «Atti ostili verso uno Stato estero che espongono lo Stato italiano al pericolo d guerra». Dispositivo, del secondo comma, quello per i comportamenti «tali da turbare soltanto le relazioni con un governo» straniero, perché i propal sulle barche per Gaza, un conflitto tra Italia e Israele, non lo avrebbero procurato nemmeno se fossero arrivati a Jabalia, però qualche polverone, in un mesetto di navigazione social, lo hanno sollevato eccome: la pena prevista è «la reclusione da tre a dodici anni». Aggravante (ipotetica, non è questo il caso): «Se segue la rottura delle relazioni diplomatiche o se avvengono rappresaglie o ritorsioni», si può arrivare a un massimo di «quindici anni». [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:44385236]] «Israele è stato fermo, ha avvertito ampiamente sul fatto che infrangere il blocco navale sarebbe stato un atto ostile a tutti gli effetti, tra l’altro questa manovra dei velisti per la Palestina è stata una provocazione doppia», dice Elber, «da un lato contro Gerusalemme nella speranza, abbiamo visto fallita, di scatenare un’azione violenta per poter colpevolizzare ancora di più l’esecutivo di Netanya hu, dall’altro contro Roma» perché la posizione di Meloni, rispetto a buona parte degli altri Paesi europei, è chiara e netta. Però un conto è l’attualità e un altro è la giurisprudenza: David Elber che è da mercoledì sera che si sente il ritornello Israele-non-poteva, Israele-ha-violato-il-diritto-marittimo, Israele-non-ha-giurisdizione-al-largo-della-Striscia. Facciamo chiarezza. «La marina israeliana si sta attenendo a tutte le disposizioni che disciplinano questo settore e cioè, la dichiarazione di Londra del 1909, ossia il corpus di leggi navali in tempo di guerra, e la dichiarazione di Sanremo del 1994, che regola i conflitti in mare. Soprattutto quest’ultima ha recepito una serie di norme che sono state codificate dalle convenzioni di Ginevra e dai protocolli del 1977. Tutte queste fonti dicono che uno Stato belligerante (e che Israele sia uno Stato in guerra è forse l’unica cosa su cui concordano anche gli esaltati delle piazze palestiniste, ndr) può porre un blocco verso un territorio ostile». Non è solo una questione di miglia, almeno non lo è nei termini del racconto (distorto) che sta circolando per la maggiore: «Le tecniche di blocco, è scritto nel paragrafo 10 della dichiarazione di Sanremo, possono essere effettuate legalmente nelle “acque territoriali” che vengono sì identificate con le famose dodici miglia marine che si imparano anche nelle ore di educazione civica, ma pure nelle zone economiche esclusive che si spingono fino a 200 miglia. Tanto è vero che quella è la distanza alla quale si sono fermate le navi militari italiane» che hanno scortato Greta e gli attivisti per mezzo Mediterraneo. Basterebbe questo, c’è un passaggio ulteriore: l’Onu, che al popolo del from the river to the sea, evidentemente, sta bene solo quando (quasi sempre) biasima Israele, nel 2011, dopo che la nave turca Mavi Marmara aveva provato a fare quello che la Flotilla ha tentato due sere fa, peraltro in quell’occasione rimediando sessanta feriti e nove morti, ha già dichiarato, e le condizioni di allora erano le medesime di oggi, che «il blocco navale di Israele è legale» e che, «questo è il paragrafo 164 della commissione Palmer, le navi umanitarie dovrebbero consentire l’ispezione, fermarsi o cambiare rotta quando richiesto. Spetta semmai alla marina perquisirle e decidere la formula più conveniente per il trasporto della merce. Nelle scorse settimane», continua Elber, «Israele si è affrettato a dire che era disposto a far arrivare gli aiuti a Gaza tramite organizzazioni umanitarie», un’alternativa è arrivata persino dal patriarcato latino di Gerusalemme, è stata caldeggiata sia dalla premier Meloni che dal presidente della repubblica Mattarella: la risposta della Flottilla è sempre stata no-grazie. Scuse, adesso, non ce ne sono proprio più. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:44386136]]
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