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I compagni vogliono il film su Berlinguer, ma rinnegano le figure di destra
10-08-2024, 11:29
Qualcuno era comunista, non Giorgio Gaber, qualcuno come Antonello Venditti che nel 1991 scrisse il pezzo strappalacrime Dolce Enrico, risposta nostalgica alla fine del Partito Comunista Italiano mentre si stava sciogliendo l'impero sovietico: «Enrico, se tu ci fossi ancora ci basterebbe un sorriso. Per un abbraccio di un'ora. Il mondo cambia, ha scelto la bandiera. L'unica cosa che resta è un'ingiustizia più vera». Cosa intendesse esattamente non si capisce ma non importa, alle canzoni per funzionare basta la rima baciata. Anche dopo il Pci la sinistra italiana non ha mai abbandonato il mito di Enrico Berlinguer, per due motivi entrambi suggestivi. Il primo, la celebrazione di un caduto sul lavoro che tra tutte le morti in tempo di pace è quella dal maggior valore simbolico e lo testimoniano i numerosi monumenti eretti nelle piazze d'Italia. Non una malattia, non un incidente, le ultime parole dette alla sua gente, una fine improvvisa di un uomo ancora giovane che non aveva capito quanto il tempo stesse correndo veloce. Qualcuno non era comunista eppure gli rese omaggio, qualcuno come Giorgio Almirante senza scorta ai funerali, all'uomo certamente e al segretario politico di un Partito talmente tradizionale che dopo di lui scelse uno della vecchia guardia, Alessandro Natta, perché non sentiva alcun bisogno di innovarsi. Ma a breve ci penserà la storia. L'altra ragione è prettamente estetica. La Prima Repubblica continua a essere un bacino ricco di storie, filo conduttore un giudizio contraddittorio e non unilaterale. Figure giganti che sono diventate cinema, a cominciare dal 2008 con Il Divo di Paolo Sorrentino e continuando con Hammamet (2020) di Gianni Amelio, senza contare i numerosi film e serie ispirati al caso Moro, i migliori entrambi di Marco Bellocchio. Nessuno di questi lavori affronta processi di beatificazione, neppure per il presidente della Democrazia Cristiana ucciso dalle Brigate Rosse. IL PARAGONE Emergono figure ambigue, la politica invischia, trama nell'ombra, attraversa le strade dei poteri occulti. Giulio Andreotti geniale maschera shakespiriana attratta dal male, Bettino Craxi gigantesco leone ferito in esilio, nella decadenza, punito come Riccardo III per la troppa ambizione. Giudizio comunque non positivo. Lo sguardo critico non si applica per un leader di sinistra, solo luci e niente ombre, la sala si illumina di rosso, il pubblico piange e leva il pugno chiuso. L'amore per Enrico Berlinguer è ancora vivo, quarant'anni dopo, la celebrazione dell'anniversario aprirà la Festa del Cinema di Roma con il film evento Berlinguer. La grande ambizione diretto da Andrea Segre e interpretato da Elio Germano. Attore dai toni esasperati, uno che urla anche quando legge la rubrica del telefono, sarà curioso vederlo interpretare il leader sardo di poche e sussurrate parole. L'auspicio di un applauso bipartisan, con la destra presente all'omaggio romano, risulta persin pleonastico, già fatto e rifatto. Nei dodici anni della sua segreteria (tra il 1972 e il 1984, anni difficilissimi per il Paese) Berlinguer fu considerato dagli altri un avversario politico, mai un nemico. Nessuno gli negò rispetto nonostante il fortissimo legame con la dittatura di Mosca, in minima parte affievolito sul finale, né l'apprezzamento per la cortesia umana più che per la visione politica. Egli fu l'espressione massima della cultura di sinistra indisponibile a cedere un solo millimetro a chiunque la pensasse in maniera diversa (quelli di destra erano fascisti, punto) e dell'abile tessitura di rapporti con la DC a scopo consociativismo. Il compromesso storico era giunto ben prima del caso Moro, tra il partito che governava il Paese e l'altro che dominava le grandi città. Come tutti i comunisti non c'è altra sinistra all'infuori di me, non ha mai tollerato l'alternativa, che fossero i radicali di Pannella o i socialisti di Craxi. La sua beatificazione (non la prima) ricorda nei toni il gigantesco dipinto che Renato Guttuso aveva realizzato nel 1972, Ifunerali di Togliatti, compendio del comunismo internazionale a raccolta intorno al leader scomparso in stile URSS. Bellissimo ma inquietante, a mai più rivederci. VIETATO ILLUDERSI A chi chiede con ragione una parziale riabilitazione di figure di destra è bene spiegare di non illudersi, soprattutto oggi. Non saranno il cinema né la letteratura a occuparsene perché i loro sono mondi chiusi, settari, invalicabili. Nonostante la destra abbia cambiato pelle molte volte, inglobando anime culturali molto diverse, anche se ha rotto con il proprio passato ben prima degli (ex) comunisti, la damnatio memoriae resta. Per Berlinguer al cinema facile prevedere un'ovazione, ricordando le critiche proprio un anno fa al Comandante Saverio Todaro all'apertura di Venezia. Film fascista, film leghista, apoteosi della XMas. Solo polemiche a travalicare il giudizio sul film, che era buono. E pensare che di eroi veri, politici e non solo, rivoluzionari, combattenti, solitari, il cinema avrebbe di che raccontare. Senza fazzoletto rosso né falce e martello.
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