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Iacometti: Italia azzoppata, il caso Stellantis frena la crescita
12-12-2024, 08:00
«Credo che John Elkann abbia una grande occasione, dimostrare di voler bene al Paese», ha detto ieri il capo di Confindustria, Emanuele Orsini. Non è una frase ad effetto, buttata lì per fare un po' di teatro. È un dato di fatto. La crisi di Stellantis non è, infatti, una cosa che attiene solo ai rapporti tra il governo e gli eredi dell'avvocato Agnelli, all'impietoso confronto tra la desertificazione delle fabbriche e i dividendi della capogruppo Exor, non ha a che fare solo con le tensioni tra il centrodestra e l'editore dei due quotidiani che da due anni bombardano tutti i giorni l'esecutivo, e neanche riguarda solo la necessità di correggere la rotta di un green deal ideologico che sta creando serissimi problemi all'economia europea. No. La crisi di Stellantis riguarda principalmente l'Italia e il suo futuro prossimo, che ruota intorno alla ripartenza dell'industria, che da 21 mesi snocciola dati tendenziali col segno meno davanti. Certo, ci sono difficoltà nella siderurgia, nel tessile, nell'abbigliamento, ma è l'automotive che sta affossando la manifattura italiana e che sta zavorrando il pil, finora tenuto a galla dai servizi. Per avere un'idea di quello che sta succedendo basta dare un'occhiata agli ultimi dati che arrivano dalle imprese. Ce n'è uno di diversi mesi fa elaborato dall'Anfia, l'associazione che rappresenta tutta la filiera delle quattroruote e che ieri ha di nuovo lanciato l'allarme sull'effetto domino che puà scaturire dal crollo dell'auto, che quantifica il peso del settore sull'economia italiana. Qualche numero? Gli addetti alla produzione dell'intera industria automobilistica sono 273mila distribuiti in 5.528 imprese che fatturano 86 miliardi, rappresentano il 9,9% del manifatturiero e il 5,2% del Pil. È il settore, spiega l'Anfia, con il più alto moltiplicatore di valore aggiunto. Il che significa anche che, in caso di flessione, ha la potenza distruttiva di una bomba atomica. Le dimensioni diventano impressionanti se si considerano oltre alla filiera della produzione si considera anche quella dei servizi annessi. In questo caso gli addetti diventano 1,25 milioni, il fatturato 299 miliardi e la quota di Pil balza al 18,1%. Ecco, è di questo che bisognerebbe discutere quando si affronta il problema, sicuramente grave e drammatico, dei 300 lavoratori dell'indotto a cui il governo e Stellantis sono riusciti a dare un altro anno di tempo. Quella è solo la punta dell'iceberg, destinato a breve ad emergere in tutta la sua titanica forza devastatrice. Come ha detto ieri il presidente dell'Anfia, Roberto Vavassori, ogni licenziamento nelle fabbriche di auto ne provoca 3 nell'indotto. E la brutta notizia è che l'indotto spesso supera i confini nazionali. Per cui se Volkswagen licenzia 15mila dipendenti ne saltano 45mila nelle aziende della componentistica, molti delle quali sono italiane. Anche per questo l'Anfia auspica che, ««in questa nuova legislatura europea, le istituzioni non abbiano timore di fare delle scelte importanti, come la modifica dei regolamenti Co2». Perché «decarbonizzare ciò che muove i veicoli, investendo nella produzione di energia rinnovabile e di carbon neutral fuels, è la strada maestra per ridurre le emissioni della mobilità privata, del trasporto pubblico e delle merci». Questa, ha aggiunto Vavassori, che appare più pragmatico che negazionista climatico e invita a considerare con sano realismo la forza industriale, tecnologica ed energetica della Cina, «è la strada che il governo italiano sta portando in Europa con determinazione e caparbietà e la filiera automotive italiana, tutta, ringrazia e ne sarà sostenitrice in tutte le sedi». Ma restiamo a Stellantis e all'Italia. Noi quest'anno, ha spiegato l'Anfia, finiremo con poco più di 300 mila auto prodotte nel nostro Paese, con un calo del 45 per cento dei volumi. Il che, purtroppo, non è un problema solo di Elkann. Nella Congiuntura flash di Confindustria di novembre, che analizza l'andamento dei primi 9 mesi dell'anno, il settore dell'auto, insieme a quello del comparto abbigliamento-tessile-pelli, è considerato il principale responsabile della flessione dell'intera manifattura. «La produzione nel settore automotive in Italia (Ateco 29, compresa la componentistica e i motori)», si legge nel rapporto, «è in calo del -19,4% nei primi 9 mesi del 2024 sugli stessi mesi del 2023». In termini tendenziali, a settembre siamo al -32,4%, di cui -42,7% per gli autoveicoli. E questo, ribadisce Confindustria, è un problema che va ben al di là del comparto. «Il settore auto», spiegano infatti da Viale dell'Astronomia, «è uno dei principali della manifattura italiana: pesa per il 6,3% della produzione (13% in Europa, data la stazza del comparto inGermania) e con l'indotto il peso sale ancora: la sua crisi, perciò, impatta molto sull'economia». E i numeri sono quelli contenuti nella Congiuntura di dicembre. «In ottobre», si legge nel rapporto, «la produzione è rimasta invariata, ma continua a registrare un forte calo tendenziale (-3,6%), profondo per auto (-34,5%), articoli in pelle (-17,2%), raffinati petroliferi (-15,8%)». Per questo, spiegano da Confindustria, malgrado un'inflazione bassa (ma in risalita) e la spinta dei servizi (trainati principalmente dal turismo), resta «un'elevata incertezza sul Pil italiano nel quarto trimestre dopo lo stop nel terzo». Insomma, far ripartire l'auto significa rimettere in carreggiata l'intero Paese. Elkann si metta una mano sul portafogli zeppo di dividendi, una sul cuore e poi decida da che parte stare.
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