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Cultura e Spettacolo
Il Presepe e la via popolare al mistero di Dio
Oggi 13-12-25, 07:59
Otto secoli sono trascorsi dalla notte di Natale in cui nella Civita di Penne, a due annidi distanza, veniva svelata l’intuizione di San Francesco del primo presepe a Greccio. Il 25 dicembre 1225 nell’antica capitale dei vestini, dove il Santo nel 1216 aveva fondato un convento, il Beato Agostino d’Assisi faceva rappresentare dai confratelli la Natività così come lui stesso aveva appreso nel borgo reatino. E diede avvio nella provincia francescana Pinnensis, in Abruzzo, a una tradizione radicata, multiforme e affascinante che non ha mai subito interruzioni. D’altronde è la terra degli eremi della Majella che Francesco Petrarca definì Domus Christi nel suo De vita solitaria, scenario di riti ancestrali, e pure custode del sincretismo con l’eredità pagana come testimoniano le chiese e i monasteri dai nomi rivelatori quali Santa Maria d’Arabona (costruita sull’ara della dea Bona) e San Giovanni in Venere. Lo stesso rito dei serpari di Cocullo, con i fedeli che adornano la statua di San Domenico in processione con i rettili catturati sulla montagna e poi liberati, viene dall’epoca precristiana e dal culto della dea Angizia. È invece una cifra etnica quella degli zampognari, che potevano nascere solo in una terra di pastori con strumenti legati alla loro vita. Erano loro infatti, sulle vie della transumanza, a portare il suono della devozione popolare per preparare e sottolineare il carattere spirituale della nascita di Gesù attraverso le novene, secondo una tradizione ormai progressivamente scomparsa a partire dagli Anni Settanta del secolo scorso. Il forte legame dell’Abruzzo con San Francesco, alla vigilia dell’ottocentesimo della morte, è ribadito col dono dell’olio votivo che dal 4 ottobre illumina per un anno il sepolcro del poverello d’Assisi e con l’allestimento del Presepe monumentale di Castelli (Teramo) nella piazza della Basilica inferiore di San Francesco ad Assisi, inaugurato l’8 dicembre. Questo lungo e ininterrotto percorso di fede e di arte è stato peraltro ricostruito e illustrato nel volume Il Presepe Abruzzese a 800 anni dalla Rappresentazione di Penne / Abbruzze Presepie d’Italie (Il Viandante, pp. 248, euro 23.50), scritto a quattro mani da Enrico Di Carlo e Mario Canci, che verrà presentato oggi a Chieti. Se la tradizione assegna a Penne (Pescara) il secondo presepe della cristianità dopo quello di Greccio, il più antico presepe domestico di cui conosciamo documentalmente l’esistenza è quello appartenuto alla nobile famiglia Piccolomini di Celano (L’Aquila), menzionato in una fonte tedesca sull’inventario redatto nel 1567. Le 116 figure appartenevano alla “duchessella” Costanza Piccolomini. Dell’ultimo Seicento, invece, è la collezione della famiglia Antinori rinvenuta a Lanciano (Chieti) nel convento di Sant’Angelo della Pace, attualmente dedicato a Sant’Antonio da Padova, con un centinaio di pezzi in legno ricomposti nel 2016 da Giacomo e Gaetano De Crecchio. Nei musei sono diverse le testimonianze artistiche sulla Sacra rappresentazione, che arrivano ai giorni nostri. «Il presepe abruzzese non è quello napoletano», precisano Di Carlo e Canci. «Nel nostro, i pastori con le loro greggi e i loro strumenti costruiti da mani nodose, non percorrono tratturi, ma strade polverose che conducono a Dio; non si assiste allo sfarzo di quello napoletano: ben più sobria è la realtà rappresentata. Qui i personaggi non sono allegri e scanzonati perché da sempre rappresentano il mondo contadino e pastorale, seppur povero, ricco nella espressione intensa di un vissuto carico di fede e religiosità, dedito a una quotidianità meno variegata di quella partenopea». A Penne, tre secoli dopo il presepe voluto dal Beato Agostino in continuità con il primo di San Francesco a Greccio, nella chiesa di San Domenico veniva esposto quello che un testimone del tempo, il viaggiatore padre Serafino Razzi, definì «il più bello che io abbia mai veduto e per la moltitudine e per la bellezza delle figure». In un’epoca come la nostra in cui il Natale e l’iconografia stessa del Natale sono sotto l’attacco pervicace di una pseudo-cultura che nel nome dell’equivalenza parificatrice, ma senza alcuna vicendevole apertura del mondo islamico, fa strame della tradizione e del sentimento religioso e popolare, anche il presepe è stato anonimizzato, ricolorato, sterilizzato, togliendogli l’anima e il significato anche esteriore che volle dargli San Francesco: l’uomo che da ricco mercante si fece poverissimo, e nell’epoca della Crociate con il sultano ci parlava, senza piegarsi e senza pretendere di piegarlo alla sua fede.
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