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Cultura e Spettacolo
L'eternità dei faraoni non passa mai di moda
25-10-2025, 14:37
La più antica civiltà del mondo, l’Egitto dei Faraoni, ha creato non solo il primo Stato, ma anche una quantità di idee che ancora permeano la nostra civiltà: dal giudizio dell’anima nell’aldilà alla stessa origine delle lettere del nostro alfabeto. C’è dunque un ricco immaginario egizio nella cultura popolare, dalle piramidi ai geroglifici. È vero che una parte di esso è anche inquietante: dal faraone prototipo del tiranno nel racconto biblico su Mosè che libera gli ebrei dalla schiavitù egizia, a quella prevalenza di reperti funebri in ciò che degli antichi Egizi è rimasto, da cui una quantità di film su mummie che si risvegliano. Ma alla fine il tutto contribuisce a un mito che perdura nei millenni per tornare in continuazione: dai racconti di Erodoto alla passione per l’Egitto di conquistatori come Alessandro Magno, Cesare o Napoleone; dalle avventure degli egittologi culminate nella favolosa scoperta di Tutankhamon (con annessa leggenda sulla sua maledizione), al racconto di opere liriche come Il flauto magico di Mozart o l’Aida di Verdi, o dei kolossal hollywoodiani. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:44688809]] IL MONDO DEI MORTI Appunto questo mito è ora riproposto da Tesori dei Faraoni, alle Scuderie del Quirinale dal 24 ottobre al 3 maggio. Un grande progetto culturale che porta a Roma una selezione di 130 capolavori dell’arte dell’Antico Egitto, provenienti dal Museo Egizio del Cairo e dal Museo di Luxor, molti dei quali esposti per la prima volta fuori dal loro Paese; e che allo stesso tempo di riannoda alle storiche relazioni tra quell’Egitto che fu l’inizio del mondo antico e quella Roma che fu il suo culmine, e che ha riempito la Città Eterna di obelischi e imitazioni di piramidi. Ma dialoga anche con gli obiettivi del Piano Mattei, in ideale ponte tra passato e presente. Appunto, uno dei grandi lasciti che l’Egitto ha dato al mondo è stato l’importanza dell’oro, che nel mondo dei faraoni per la sua incorruttibilità e splendore era considerato la materia di cui gli stessi dei erano fatti, e un simbolo dell’eternità. Ovviamente alcune mentalità sono anche cambiate, e ad esempio una Collana di Mosche d’Oro che veniva data come onorificenza militare ci testimonia di un apprezzamento per animali come mosche e scarabei, che in quanto riciclatori di letame noi schifiamo e gli egizi invece esaltavano. Quella decorazione sta assieme al sarcofago dorato della regina Ahhotep II e al collare di Psusennes I all’inizio del percorso espositivo, a ricordare come gli egizi inventano l’ornamento come linguaggio politico e riflesso di una teologia del potere. Altra eredità dell’Egitto, il concetto della morte come passaggio e trasformazione. Il passo successivo è appunto attorno al monumentale sarcofago di Tuya, madre della regina Tiye. Le statuette di quegli shabti che avrebbero dovuto lavorare per il defunto, i vasi canopi dove venivano conservate le viscere del defunto mummificato, un papiro del Libro dei Morti ci descrivono la preparazione al viaggio nell’adilà quasi come una scienza esatta. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:44673482]] SCHIAVI LIBERI Uno stereotipo sul mondo egizio è quello di una società fortemente gerarchizzata. Ora, è vero che i faraoni erano sovrani divinizzati, ma ad esempio gli operai delle piramidi non erano schiavi, bensì uomini liberi. Il cui lavoro era una sorta di pieno impiego a cura dello Stato negli intervalli del calendario agricolo, e tra loro è stato addirittura attestato il primo sciopero della Storia. La mostra ricorda poi che col tempo in Egitto divenne sempre più importante un cero medio di scribi, soldati, artigiani e artisti, la cui ascesa era possibile per il merito individuale. «Questa mostra racconta non solo i faraoni, ma anche le persone che li circondavano», spiega il curatore Tarèk El Awady. Il percorso mostra infatti le tombe di nobili e funzionari, come quella di Sennefer, che svelano la quotidianità del potere, la devozione e il senso del dovere di chi serviva il faraone come garante dell’ordine cosmico. E la poltrona dorata di Sitamun, figlia di Amenofi III: un oggetto domestico, usato in vita e poi deposto come dono nella tomba dei nonni. Una sezione è dedicata alla “Città d’Oro” dove lavoravano gli artigiani di Amenofi III, scoperta nel 2021 da Zahi Hawass: l’egittologo conosciuto anche tramite la tv italiana che è stato anche ministro, e che firma il catalogo dell’esposizione. La mostra culmina nel mistero della regalità divina, con alcune statue e rilievi tra le espressioni più alte dell’arte faraonica: l’Hatshepsut inginocchiata in atto d’offerta, la diade di Thutmosi III con Amon, la Triade di Micerino, fino alla splendida maschera d’oro di Amenemope, dove il volto del re, levigato e perfetto, diventa icona di un corpo che appartiene ormai al divino. In chiusura, la Mensa Isiaca – eccezionalmente concessa dal Museo Egizio di Torino – riannoda il filo simbolico che da Alessandria conduce a Roma. Come sostiene appunto Zahi Hawass, «il più grande monumento mai costruito dall’Egitto non fu una piramide o un tempio, ma l’idea stessa di eternità». Assieme alla mostra, un ricco calendario di attività didattiche. Da laboratori per i più giovani a seminari in cui si ricorda il mito egizio nella musica o nel cinema. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:44582474]]
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