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Estero Europa
L'ultimo fallimento degli economisti fuori dalla realtà
Oggi 17-12-25, 06:13
Se l’Europa fosse quella che raccontano gli europeisti, non esisterebbe; i suoi confini e orizzonti sono per fortuna più ampi. Tramontati gli statisti, l’Europa è stata sfigurata dall’ascesa dei burocrati e degli economisti al vertice della macchina politica di Bruxelles. Se tutto è ridotto a calcolo economico, parametro, procedura, il primo elemento che scompare è la storia, la cultura, fino all’eclisse del buon senso. Pensare di poter cambiare a tavolino i cicli industriali, immaginare di sostituire l’imprenditore con il funzionario brussellese, mettere nero su bianco un diktat che impone di comprare l’automobile senza poter scegliere come spendere i propri soldi, è una stupidaggine che poteva venire in mente solo a una classe dirigente che non ha mai avuto il problema di comprare l’auto a rate e far quadrare i conti in famiglia. Il Green Deal è un fallimento ideologico dei nipotini dell’utopia comunista e degli economisti che hanno pensato di poter cambiare l’intero sistema di produzione dalle fondamenta, dall’energia che alimenta i motori. La retromarcia europea sull’auto elettrica è la vendetta della storia, delle persone che non si possono ridurre a consumatori senza idee, pronti a seguire le allucinazioni di una classe di politici che ha scambiato Greta Thunberg per Karl Marx. Il filosofo francese Jean-Claude Michéa quando scoppiò in Francia la rivolta dei gilet gialli per le norme punitive sulle auto a gasolio (quelle che usano i poveri, i dimenticati di questa pazza rivoluzione che è giunta al capolinea), trovò una formula geniale per descrivere la sinistra autoscarrozzata in Tesla (prima che Musk diventasse per il salotto radical chic l’abominevole uomo del trumpismo): la “gauche kérosène”, il carburante degli aerei che nel fine settimana trasportano la solita compagnia di giro ecologista nei soliti resort dove il solito progresso incontra il solito Mojito a bordo piscina. Tutti insieme, nello stesso posto, bruciando idrocarburi, il club in prima classe del petrolio. Sono arrivate al capolinea le idee degli economisti – che si servono del burocrate per trasformare le loro teorie in armi di distruzione di massa - che per un ciclo durato più di 30 anni sono stati scambiati per degli statisti. S’è fermata la locomotiva tedesca, crescita zero, 3 milioni di disoccupati, la faglia politica aperta dall’AfD ha riprodotto le “due Germanie”, Est e Ovest, e i cervelli fini delle lezioni di rigore da Berlino ora tacciono, il presidente della Confindustria tedesca, Peter Leibinger, l’ha messa giù piatta: «Il Paese rischia una deindustrializzazione irreversibile. La Cina ha copiato il nostro modello». E le automobili, benvenuti a bordo, al volante c’è il Partito comunista cinese. Qualche giorno fa il Wall Street Journal ha dovuto ammettere che nessuna delle previsioni fatte dagli economisti con l’alloro in testa sui dazi e l’inflazione ha fatto centro, tutte sbagliate. Un altro brutto quarto d’ora, dopo quello trascorso quando l’inflazione fece un decollo verticale nel 2022 e gli esperti dissero che era un fenomeno “temporaneo”, salvo poi scoprire che era una crisi acuta e lunga. Ne subiamo ancora gli effetti. L’ascesa dell’economista in Europa ha mandato in testacoda la manifattura e creato una categoria di oracoli che non ne azzeccano mai una. Fulminati dall’auto elettrica, in retromarcia sul Green Deal. Non è un caso che nessuno dei padri fondatori dell’Europa fosse un economista: Robert Schuman era un giurista cattolico che aveva coltivato filosofia e teologia; Jean Monnet abbandonò la scuola a 16 anni, il suo straordinario intuito e pragmatismo furono quelli di un venditore di cognac che imparò l’arte del commercio internazionale e della diplomazia; il cattolico Konrad Adenauer da ragazzino aveva il pallino dell’inventore, fece studi giuridici e politici senza eccellere, fu un anti-prussiano d’acciaio, la Prima guerra mondiale mentre era sindaco di Colonia fu per lui la palestra del futuro statista; Alcide De Gasperi, eccezionale studente di greco e latino, si laureò all’università di Vienna in letteratura, tesi in filologia. A questo poker d’assi aggiungo la carta del leone d’Inghilterra, Winston Churchill - che gli europeisti con la laurea in europeismo dimenticano regolarmente di inserire nel loro pantheon - fu forgiato dal campo di battaglia, in missione in India avviò la sua formazione di autodidatta, si nutrì di classici e proseguì voracemente a leggere passato e presente, sparare al nemico e scrivere corrispondenze di guerra per i giornali, così divenne lo scrittore più venduto d’Inghilterra, premio Nobel per la letteratura nel ’53 e un gigante della storia politica. Nessuna di queste straordinarie figure era un economista, tutti conoscevano la storia ed erano stati forgiati dalla tremenda esperienza della guerra. A nessuno dei fondatori dell’Europa sarebbe mai venuto in mente di seguire Greta Thumberg e il suo esercito di invasati, l’avrebbero spedita a scuola.
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