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Estero
Maduro e i 15mila guerriglieri: incubo rosso, cosa può accadere
Oggi 26-12-25, 04:32
Si va davvero verso una guerra tra Donald Trump e Nicolás Maduro? Ne parliamo con Antonio María Guevara Fernández: analista di sicurezza e difesa venezuelano, colonnello in pensione, autore di vari libri ed editorialista di El Nacional: uno dei due più grandi quotidiani storici del Venezuela, a cui però il regime ha sequestrato la sede, e che dal 2018 opera online. «L’Operazione Southern Spear, così battezzata dagli Usa, è uno spiegamento senza precedenti, straordinario, originale, almeno per quanto riguarda l’area del Mar dei Caraibi. L'obiettivo sarebbe la lotta al narcoterrorismo. C’erano alcune classificazioni precedenti: prima del Tren de Aragua; poi del Cartello dei Soli, che molti identificano come parte della leadership militare venezuelana. In questi ultimi giorni, il regime stesso è stato classificato come organizzazione terroristica. È però incerto se si passerà a un'iniziativa operativa sulla terraferma, ose anche questa minaccia fa parte del meccanismo di pressione». Come può rispondere Maduro? «Il regime si prepara a una prova di forza del genere da 23 anni, con esercitazioni semestrali. Si affida al cosiddetto “potere popolare”, o “fusione civico-militare”. Le Forze Armate non sono solo l’elemento in uniforme visto in dichiarazioni o parate, ma dopo il 2002 è stata attivata una componente chiamata milizia nazionale. Include anche la guerriglia colombiana, il terrorismo internazionale, i gruppi paramilitari. Ci sono elementi addestrati e istruiti a Cuba, parte del Fronte Francisco de Miranda. Inoltre c’è una delinquenza comune, a cui sono stati dati poteri, presente su tutto il territorio nazionale. Sono strutture criminali che si attivano con un meccanismo di rischio come quello attuale. Di fronte allo schieramento Usa il regime darebbe una risposta non lineare, in un concetto di guerra irregolare che chiamano “agua afuera”». Tutto il popolo è con loro? «C’è comunque un terzo attore: l’opposizione venezuelana, che vinse le elezioni del 2024, ma il regime si appropriò della vittoria, costringendo all’esilio quello che avrebbe dovuto essere il presidente eletto, Edmundo González Urrutia. In seguito a un intervento Usa, questa opposizione dovrebbe essere custode del cambio di regime, benché ufficialmente non sia l’obiettivo dell’Amministrazione Trump. Sarebbe ciò cui noi venezuelani aspiriamo. Ma non chiarirlo crea confusione». Il Pentagono sarà costretto a elaborare una strategia nuova? «Non ne sono del tutto sicuro. Forse l’Amministrazione Trump pensava che questa pressione avrebbe portato all’insurrezione delle Forze Armate venezuelane e Maduro e dopo quattro mesi, ancora non si vede. Ma quello di Maduro non è un regime normale e non è democratico. Negli Stati Uniti su va invece verso le elezioni di medio termine, e bisogna vedere per quanto a lungo Congresso e opinione pubblica Usa continueranno a sostenere i costi di questa mobilitazione, se non produce risultati». E in caso di scontro diretto? «In un conflitto lineare convenzionale Maduro non potrebbe resistere più di Noriega a Panama nel 1989. Due o tre giorni, seguiti da circa sette mesi di occupazione. Ma evidentemente il conflitto in Venezuela non sarebbe lineare. Il governo potrebbe fare affidamento essenzialmente sulla guerriglia colombiana che conta tra i 5.000 e i 15.000 uomini, e creerebbe gravi problemi al governo civile insediato dall’opposizione. Poi a favore di Maduro si potrebbe scatenare tutto il terrorismo internazionale». Il sequestro della petroliera sta però bloccando l’export di greggio, principale risorsa del regime... «Ne sarebbe gravemente colpito il popolo venezuelano, così come il popolo cubano è colpito dall’embargo. Ma l’embargo va avanti dal 1962, e il regime cubano non cade. Il regime venezuelano ha poi altre risorse dal narcotraffico e dalla corruzione». Si sa però che Trump e Maduro si sono parlati per telefono. Si dice che Trump ha respinto alcune richieste che Maduro offriva per ritirarsi. Ma Trump si è poi messo anche a parlare del petrolio. «Appunto, prima che parlino i fucili o i droni, dovrebbe intervenire un buon processo di negoziazione. Proprio il petrolio potrebbe diventare la via d’uscita da questa impasse politica, militare e mediatica».
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