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Mario Sechi: il nostro sport ai confini della realtà
01-08-2024, 08:00
Il romanzo delle Olimpiadi di Parigi sta squadernando davanti a noi una mappa della contemporaneità, tra grandi emozioni del gioco, sfide individuali e a squadre, emergono le grandi tensioni, le fratture, le ideologie, una mappa che in un libro pubblicato dall'Università della California (“The Anthropology of Sport”) si materializza con le tre B: “Bodies, Borders, Biopolitics”, corpi, confini, biopolitica. Quest'ultima, la biopolitica, è comparsa sul ring di Parigi in un incontro di boxe programmato per oggi tra l'italiana Angela Carini e l'algerina Imane Khelif. C'è solo un dettaglio, la Khelif è stata squalificata dall'International boxing association (Iba) nel 2023 per la presenza nel dna di cromosomi XY, quelli maschili. Chiunque abbia uno sguardo dettato dal buonsenso non può non notare ciò che è visibile, ma il Comitato Olimpico Internazionale ha ammesso l'atleta nordafricana ai Giochi. Khelif non è un trans, la sua carta d'identità è quella di una donna, ma la sua mappa cromosomica e la struttura del suo corpo raccontano un'altra storia, quella di una persona qualificata come “intersex”. Secondo l'Istituto Superiore della Sanità «Intersex è un termine ombrello che include tutte le variazioni innate (ovvero presenti fin dalla nascita) nelle caratteristiche del sesso, caratteristiche che non rientrano nelle tipiche nozioni dei corpi considerati femminili o maschili. Queste variazioni possono riguardare i cromosomi sessuali, gli ormoni sessuali, i genitali esterni o le componenti interne dell'apparato riproduttivo». Il Cio ha azzerato il genere, l'uomo e la donna diventano un'astrazione, lasciando il campo a atleti che fanno parte di un grande disegno di emancipazione universale in cui il sesso è considerato un “ostacolo” da abbattere. Quando si trasformano i nobili ideali in regole che superano i confini della realtà, si entra nell'incubo. Non ci sono dubbi, lo sport è un formidabile veicolo di emancipazione e conquista della libertà e le Olimpiadi sono il picco sismografico di questa storia. Tre esempi che sono storia: Tommie Smith e John Carlos che a Città del Messico nel 1968 alzano sul podio il pugno guantato di nero; Jesse Owens che a Berlino nel 1936 vince quattro ori e davanti a Adolf Hitler batte nel salto in lungo Luz Long, il miglior atleta della Germania; Cassius Clay che nel 1960 a 18 anni parte dall'aeroporto di Louisville per Roma dove comincia la sua avventura di “più grande”, destinato a scuotere il mondo con il suo rifiuto di andare in guerra in Vietnam e poi diventare Mohammed Alì, «vola come una farfalla, pungi come un'ape». Questa è la storia, ma quella di Khelif appare come gigantesca forzatura che apre le porte alla decostruzione della persona. La scrittrice J.K. Rowling ha ricordato anni fa che «se il sesso non è reale, non c'è attrazione per lo stesso sesso. E se il sesso non è reale, la realtà vissuta delle donne a livello globale viene cancellata». Dovrebbero rifletterci nel Pd, dove il buonsenso è materia rara, viste le parole dell'onorevole Laura Boldrini e del suo collega Alessandro Zan che evocano «l'odio transfobico» della destra e non vedono che la loro rotta va dritta sugli scogli acuminati dell'ineguaglianza. La decisione del Comitato Olimpico è sbagliata: per la Carini, che deve affrontare un avversario che possiede qualità diverse dalle altre concorrenti, perché l'algerina ha la mano pesante, tanto che la messicana Brianda Tamara definì i suoi colpi «peggio di quelli di tanti sparring partner uomini»; per la Khelif, che ha una storia personale che va rispettata, ma nello stesso tempo non può essere condotta ai confini della realtà; per le donne, la cui identità viene annullata da scelte ideologiche che sono una minaccia per la loro libertà. In nome dello spirito di Olimpia, fermatevi.
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