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Mario Sechi: Nell'era dei conflitti servono leader seri
31-05-2024, 06:50
L'Economist dedica la copertina a tre donne, al centro c'è Giorgia Meloni, a sinistra Ursula von Der Leyen e a destra Marine Le Pen. La candidata del Ppe alla presidenza della Commissione Ue ha di fatto aperto a un'alleanza con la premier italiana, la leader del Rassemblement National, largamente in testa nei sondaggi in Francia e con la prospettiva di conquistare in futuro l'Eliseo, spera in un risultato importante della destra europea per consolidare una partnership che tenga fuori dai giochi i Socialisti e metta i Popolari nella condizione di cambiare la formula politica per guidare l'Europa. I giochi si faranno dal 10 giugno in poi, la “maggioranza Ursula” tra Popolari e Socialisti sembra essere meno solida rispetto al 2019 e i dossier aperti sono la mappa di una terra incognita dove occorre un largo consenso per evitare fratture. L'Economist piazza Meloni al centro di un gioco di alleanze possibili, ne riconosce la leadership e il pragmatismo, per concludere che «se fanno la scelta sbagliata, i centristi europei potrebbero destabilizzare l'Ue e contribuire a creare ciò che temono da tempo: un movimento di estrema destra unito e pan-continentale. Per evitare ciò, sarebbe opportuno trattare con la Meloni». Traduzione: senza Giorgia, governare l'Europa potrebbe diventare troppo complicato. Vedremo presto cosa accadrà a Bruxelles, dopo il voto dell'8 e 9 giugno buona parte delle cose che si discutono nella campagna elettorale spariranno e la realtà si riprenderà la scena, come sempre. Il voto europeo non è mai stato così importante e alla fine resteranno i veri problemi da risolvere. Tre punti in agenda hanno bisogno di una soluzione urgente: la guerra in Ucraina, il futuro di Kiev e i disegni della Russia di Vladimir Putin, la sopravvivenza dello Stato di Israele e il governo nella Striscia di Gaza, la libera circolazione nel Mar Rosso e l'accesso al Canale di Suez. Tutto si riassume in cinque parole: il problema della nostra libertà. In Ucraina si combatte da 828 giorni; a Gaza senza una resa di Hamas e il rilascio degli ostaggi la guerra andrà avanti tutto l'anno; i rischi per la navigazione nel Mar Rosso sono ancora altissimi. L'Occidente può perdere? Sì, soprattutto se non combattono gli Stati Uniti. Cosa che sta accadendo, perché l'amministrazione Biden ha una dottrina della guerra che ha sì evitato l'escalation nel breve periodo, ma alla fine ha consegnato al nemico le sorti del conflitto. È la formula ben riassunta da David Frum: «Dare agli ucraini/israeliani abbastanza per non perdere, ma non abbastanza per vincere». Il problema è che in Ucraina si rischia la «débâcle», una pace giusta non è impossibile, ma non si conquista sventolando la bandiera bianca davanti agli occhi di Putin, delle belve di Hamas, degli Houthi e dell'Ayatollah Khamenei che applaude gli utili idioti proPal che sfilano nelle nostre piazze e occupano le università, un vortice di ignoranza. Questi guerre toccano direttamente il nostro spazio: il Nord Europa e il fianco Orientale, il Sud e il Mediterraneo, il Mare Nostrum, l'accesso sicuro all'Africa e all'Oceano Indiano, le rotte del commercio mondiale di cui non possiamo fare a meno. Ieri sulla prima pagina New York Times un articolo di Bret Stephens faceva un elenco di guerre non-vinte dagli Stati Uniti: il ritiro da Saigon nel 1975, quello di Beirut nel 1984, il fallimento a Mogadiscio nel 1993, la fuga da Kabul nel 2021. La campagna militare senza soluzione a Baghdad dove dopo un dietrofront nel 2011 gli americani sono dovuti tornare tre anni dopo per fermare l'Isis che nel frattempo aveva sfondato dalla Siria fino all'Iraq. Ma attenzione, in nessuna di queste guerre era in gioco la sopravvivenza dell'America (che non a caso ha vinto la Seconda guerra mondiale scatenando tutta la potenza che serviva per piegare la Germania di Hitler e il Giappone di Hirohito, una reale minaccia per l'America) qui sta la grande differenza con lo scenario che ha di fronte oggi l'Europa. Un pericolo chiaro e presente, mentre la Cina porta avanti la sua strategia di dominio del Pacifico e alla Casa Bianca potrebbe tornare Donald Trump che chiede all'Europa un impegno più concreto nella Nato che tradotto significa più soldi e «boots on the ground», stivali dei soldati sul campo di battaglia. Non sono slogan da campagna elettorale, non è la caccia al voto degli elettori smarriti, è il nemico che bussa alla porta. E se la apri, entra. Tutto questo non può essere eluso e dopo la campagna elettorale i leader europei dovranno farci i conti. E qui torniamo alla dimensione politica, al voto dell'8 e 9 giugno e al governo dell'Unione europea. Meloni ha espresso una leadership atlantista e europeista, conservatrice e occidentale, un pragmatismo che l'Economist sottolinea come un valore che non si può disperdere nelle alleanze prefabbricate, nei calcoli a tavolino, nel sudoku brussellese che è giunto a fine corsa e si vede. Mancano pochi giorni all'appuntamento con la Storia, decideranno gli elettori la strada del futuro. La prudenza è giusta, la resa impossibile.
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