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Meloni: "Mi attaccano come fecero con Silvio"
07-08-2024, 06:43
Giorgia Meloni sente odore di déjà vu. È stata per tre anni e mezzo ministro dell'ultimo governo di Silvio Berlusconi, ha visto da vicino il metodo con cui la sinistra e la sua stampa attaccano e delegittimano il presidente del consiglio. Sa che lo stanno facendo di nuovo, stavolta con lei, ma è convinta pure che finirà diversamente dal 2011. È il ragionamento più “politico” della lunga intervista che ha concesso a Chi, il settimanale del gruppo Mondadori, e non è un caso che certe cose abbia voluto dirle proprio a una testata che, oltre a preferire il ragionamento alla polemica, fa capo agli eredi del Cavaliere. Parte del messaggio è già nel mezzo scelto, insomma: il colloquio serve anche a far capire agli avversari che la pretesa di dividerla dalla famiglia Berlusconi e da Forza Italia è ridicola. «Sono settimane», spiega infatti la premier, «che si cerca di raccontare una sostanziale insofferenza di Marina e Piersilvio Berlusconi verso il governo, ma non è la realtà che vivo io. Ho rapporti con entrambi, stimo entrambi, e non li considero persone ostili. È quello che vorrebbe la sinistra, una delle sue tante speranze che non si realizzeranno». L'obiettivo dell'opposizione «che oggi li lusinga», argomenta, «è usarli contro di noi, per poi eventualmente usare qualcun altro contro di loro. Lo abbiamo già visto accadere. Ma noi, come Marina e Piersilvio Berlusconi, conosciamo bene questi metodi, perché sono quelli usati anche contro Silvio». Quella che la sinistra mette in atto ogni giorno nei suoi confronti, avverte, è una vera strategia della demonizzazione. «Vengo accusata di qualsiasi cosa. Centenario della Marcia su Roma? È colpa della Meloni. Strage di Bologna? È colpa della Meloni. Naufragio di Cutro? È colpa della Meloni. Femminicidi? È colpa della Meloni. Etc etc». Lei, comunque, assicura che ci ride sopra. «Ormai è una barzelletta, e quello che non capiscono è che le persone di buon senso, anche di sinistra, lo vedono». LA «PRESIDENTA» Secondo lei, è una conseguenza dello «shock» che la sinistra ha provato vedendo che è stata la destra ad esprimere la prima donna presidente del consiglio. Eppure era «inevitabile», dice, che andasse così: «Da loro le donne hanno spesso pensato che il ruolo ricoperto dovesse essere una concessione di una classe dirigente prevalentemente maschile, o un obbligo imposto attraverso quote rosa. Ma quando pretendi di essere il capo perché lo dicono le quote, non riesci a esercitare la leadership. Ecco perché è sempre stata la destra, e non la sinistra, a esprimere i principali ruoli di leadership femminile». C'è una stoccata anche per la battaglia linguistica portata avanti da Laura Boldrini e compagni: «Io non penso che si difendano i diritti delle donne con battaglie tipo farsi chiamare “la Presidenta”. Perché se ti chiamano presidenta, o assessora, ma vieni esclusa dal mondo del lavoro perché hai dei figli, temo che la parità sia ancora parecchio lontana». Insiste molto su questo tema, e rivendica una scelta per la quale è stata criticata: quella di portare con sé la figlia Ginevra nel viaggio ufficiale in Cina, assieme alla quale, mano nella mano, è scesa dall'aereo. Non lo ha fatto solo per una questione affettiva e pratica, che pure ha pesato: «Avrei dovuto lasciare mia figlia a casa, magari a casa di amici? Mi fa sorridere che certe persone si ritengano moralmente così superiori da poter insegnare a una madre come crescere la propria figlia». Lo ha fatto anche perché è convinta che ci sia «una sfida culturale che riguarda tutte le donne. Penso che, se io, che sono presidente del Consiglio, riesco a dimostrare che il mio incarico è compatibile con la maternità, allora non ci saranno più scuse per quelli che usano la maternità come pretesto per non far avanzare le donne sul posto di lavoro». LA «FEROCIA» DELLO STATUS QUO È stato anche il primo anno in cui ha dovuto crescere la figlia da madre separata, dopo la separazione da Andrea Giambruno. Ginevra, racconta, «è legatissima a entrambi. Con noi a lungo ha fatto finta di nulla, ma io so che piangeva quando non la vedevamo. Mi ha fatto venire il cuore come una nocciolina». Di buono c'è che la premier e Giambruno, «che rimane il padre migliore che potessi desiderare per mia figlia», hanno mantenuto un rapporto cordiale. «Faremo tutti e tre anche qualche giorno di vacanza insieme, con un gruppo di amici e i loro figli. Per Ginevra. Ma anche perché siamo ancora amici e ci vogliamo bene». Niente ripensamenti, in ogni caso: la loro separazione «è definitiva». Anche se alcune delle riforme promesse non sono ancora arrivate al traguardo – è il caso del premierato e della riforma costituzionale della giustizia – la premier è soddisfatta di quanto fatto sinora. E non si stupisce che «le forze che vogliono conservare lo status quo, ovvero i loro privilegi», stiano reagendo con una «opposizione feroce». «Il mio bilancio personale», dice, «è che non avrei potuto fare di più. Tanto che quest'anno penso di dovermi imporre qualche giorno di riposo, più del solito. Quello politico è che stiamo risolvendo molti problemi, ma molti altri vanno ancora risolti». La prossima riforma, annuncia, sarà quella della burocrazia, «fondamentale per mettere le imprese in condizione di lavorare e produrre al meglio e dare ai cittadini servizi più efficienti». I paladini dello status quo sono avvisati.
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