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Nicolato: Trump tra patatine e hamburger parla alla pancia degli Usa
22-10-2024, 14:16
A 15 giorni dalle «elezioni più importanti della storia degli Stati Uniti» (sia chiaro, lo dicono immancabilmente ogni quattro anni), il campo di battaglia dei due candidati è inaspettatamente diventato McDonald's, la catena di fast food americana più famosa e famigerata al mondo. Donald Trump si è esibito in una filiale di Feasterville-Trevose, in Pennsylvania, alla periferia di Filadelfia, dove con il grembiule dell'azienda si è fatto fotografare e filmare mentre immergeva cestini di patatine fritte nell'olio, le salava, le metteva nelle apposite buste e poi le serviva insieme agli hamburger ad alcuni clienti, preselezionati per motivi di sicurezza attraverso, dal finestrino del drive-thru. A COLPI DI PANINO La Harris nei giorni scorsi è invece ritornata più volte sul suo breve impiego presso McDonald's negli anni '80, in una filiale di Alameda in California dove, durante le vacanze estive, si occupava della cassa, delle fritture e della macchina per il gelato. Dichiarando il suo amore per i Golden Arches («mi piace vedere buoni lavori, e penso che sia inappropriato quando qualcuno sminuisce ovunque il fatto che ha lavorato da McDonald's»), il tycoon ha asserito di non credere assolutamente che la sua avversaria vi abbia mai lavorato e mentre si trovava al drive-thru se n'è uscito dicendo: «Ora ho lavorato per 15 minuti in più di Kamala». Ovviamente alle testate vicino ai Dem non è parso vero di poter rivangare l'antico amore del candidato repubblicano per il “junk food”, come a trovare una conferma dei dubbi emersi negli ultimi giorni sul suo stato di salute. Una vecchia storia, già utilizzata malamente nel corso delle scorse campagne elettorali. Durante la prima si parlava, ad esempio, dell'allora guardia del corpo e confidente Keith Schiller che andava abitualmente al McDonald's vicino al Marine Air Terminal nel Queens mentre Trump aspettava nella limousine. «Gli Egg McMuffin erano spesso l'ordine al mattino, o due quarti di libbra e una grossa patatine fritte più tardi nel corso della giornata» era il suo ordine preferito. Gli ex funzionari della campagna Trump Corey Lewandowski e David Bossie hanno più tardi affermato nel loro libro “Let Trump be Trump” che l'ex presidente preferiva invece «due Big Mac, due Fillet-O-Fish e un shake al cioccolato e malto». Più recentemente invece il genero Jared ushner ha rielato che m e n t r e rump si troava costretto ll'isolamento per via del Covid ordinava spesso «un Big Mac, Filet-o-Fish, patatine fritte e un frullato alla vaniglia». Mentre lo scorso anno, durante il processo per frode a Manhattan, sembra che il tycoon si facesse portare diversi grandi sacchetti di hamburger e patatine direttamente in tribunale. Una volta Trump aveva spiegato che gli piaceva andare a mangiare da McDonald's in quanto garantisce «un certo standard» di pulizia e qualità, anche perché «un solo hamburger cattivo può distruggere l'azienda in un attimo». Ma ovviamente la sua comparsa in una filiale della Pennsylvania (Stato elettoralmente in bilico), così come l'incursione di Harris nel suo antico passato da piccola friggitrice, ha poco a che fare con i gusti alimentari. In un articolo sulla “mcdonaldizzazione” della campagna elettorale il New York Times sostiene che i fan di Trump sarebbero compiaciuti di questa sua passione in quanto vedono in lui «un riccone che non storce il naso di fronte al fast food». Mentre gran parte della sua base elettorale «potrebbe non identificarsi con il lavoro da McDonald's quanto piuttosto con il sogno di ottenere la ricchezza del Sig. Trump e possederne uno». UNA “SANA” ABITUDINE Per contro invece le esternazioni di Kamala sulla sua vecchia esperienza nella catena sono giustificate dal far sapere alla classe operaia che il possibile futuro presidente «conosce la fatica dei lavori a basso salario nel settore dei servizi». Una semplificazione che nel caso di Trump non trova riscontro nei fatti, in quanto l'elettore medio del tycoon non è certo il «riccone» di cui si parla, bensì proprio il tipico lavoratore del Mc Donald's e il suo cliente, fruitore dei prodotti della catena di fast food anche per una questione meramente economica. Mentre ha più senso nel caso di Kamala, che cerca di scrollarsi di dosso un'immagine troppo cittadina e troppo poco “proletaria”, per conquistare quell'elettorato della provincia americana, anche nero, che rappresenta al contrario lo zoccolo duro del rivale. In realtà i presidenti americani non hanno mai disdegnato di farsi fotografare mentre si ingozzano di hamburger, hot dog e bevono Coca Cola, tutti comunque simboli dell'alimentazione e dell'imprenditoria americana, nel tentativo appunto di dare un'immagine di loro più vicina alla gente. Obama è uno di quelli, anche se per assurdo ha una venerata moglie salutista e vegetariana, e questo particolare ha sempre esaltato gli stessi che oggi biasimano il tycoon per le sue pessime abitudini alimentari. Ai tempi Barack veniva dipinto come specie di simpatica e arguta divinità che di tanto in tanto si concedeva un viaggetto sulla terra e tra la gente. Lo stesso accadde con Bill Clinton e prima di lui Ronald Reagan. La mcdonaldizzazione della campagna elettorale insomma è una parte importante della politica americana, in quanto la glorificazione del sogno americano, del successo nel mondo dei suoi prodotti, nonché la celebrazione dei suoi lavoratori e della classe media, passa anche dai fast food.
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