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Ocone: ma quali Hegel e Platone, al congresso di filosofia si parla di gender e femminismo
20-07-2024, 12:48
Dal primo all'otto agosto il Campus della Sapienza ospiterà a Roma il XXV Congresso Mondiale di Filosofia. Il primo di questi congressi si svolse a Parigi nel 1900, in occasione dell'Esposizione Universale. Se si scorre l'elenco dei partecipanti si rimane impressionati: da Bergson a Blondel, da Poincaré a Peano e a Russell, tutti nomi che sono ormai dei classici del pensiero. Per tutto il periodo che va dai primi anni del secolo scorso alla seconda guerra mondiale, i Congressi di filosofia raccolsero attorno a sé la migliore intellettualità esistente, costituendo una sorta di “repubblica delle lettere” che fungeva da esempio, per spessore culturale e dirittura morale, alle generazioni colte di tutto il mondo. Non che questi incontri fossero delle ireniche palestre volte a smussare gli angoli delle grandi polemiche intellettuali. Si pensi, ad esmpio, che, nel Congresso di Bologna del 1911, ci fu uno scontro furibondo fra filosofi di formazione scientifica o positivista, capitanati da Enriques, e il fronte degli idealisti, capeggiato da Croce. Ma d'altronde, la polemica è il sale stesso della filosofia, e in genere della cultura, che non dà nulla per assodato e designa i “vincitori” attraverso la forza logica con cui riescono ad argomentare le proprie convinzioni, smontando quelle degli avversari. Senza dialogo, o meglio dialettica, il logos semplicemente non può esistere. Né il filosofo può adeguarsi allo spirito dei suoi tempi, ripetendo le irriflesse idee del senso comune. È per questo che la filosofia è sempre in qualche modo contro il potere, quello costituito ma anche quello dell'opinione accreditata. La morte di Socrate, cioè del primo filosofo, è il paradigma stesso di questa dialettica fra logos e kràtos, pensiero e forza. Dopo Bologna, l'Italia ospitò questi Congressi, che si tengono ora ogni cinque anni, per ben due volte: a Napoli, nel 1924 e a Venezia, nel 1958. Quella romana è quindi la quarta edizione italiana del Congresso. Sarebbe però un errore pensare di trovare in esso, quasi come una oasi felice nel diffuso “deserto spirituale” dei nostri tempi, anche solo un po' dello spirito di quegli epici consessi del secolo scorso. Basta scorrere con attenzione il programma per accorgersene. Già il titolo – La filosofia oltre i confini - lasciava, in verità, presagire una vera e propria svolta conformistica di questi incontri, che assomigliano ora sempre più a certi inutili carrozzoni messi su dall'Onu. Nel programma trovano largo spazio le sezioni dedicate alle filosofie non occidentali, sviscerate in tutte le loro componenti e specificità (confucianesimo, buddismo, induismo, islamismo, animismo). Quanto alla filosofia occidentale, essa viene invece relativizzata e considerata quasi sempre nei suoi rapporti con le altre culture, quasi che noi soli non avessimo il diritto di avere un'identità specifica. Un tempo la filosofia era solo quella occidentale, non certo per xenofobia ma semplicemente perché è in questa parte di mondo che si è sviluppata l'idea di un logos universale, cioè la passione per il concetto. Ma tant'è! Gli organizzatori risponderebbero a questa obiezione osservando che di filosofia occidentale ce n'è invece tanta. Platone, Tommaso, Cartesio, Locke, Hegel Husserl? In verità, non ne vediamo molte tracce. C'è però una sezione dedicata a “gender e filosofia queer”, un'altra ai “film e serie tv” (sic!), una al “food”, una alla “sostenibilità”, una alla “filosofia femminista”, una alla “intersezionalità” (che farà contenta Elly Schlein). E poi tanto spazio alla filosofia analitica e a quella scientistica per cui, come è noto, i problemi classici del pensiero sono falsi problemi o distorsioni linguistiche. Delle grandi culture politiche, solo il marxismo sembra meritarsi una sezione intera. E tanto spazio è dato anche alle “etiche applicate”, quelle che ci vorrebbe dare un ricettario di “buone virtù” da applicare nella vita pratica, ovviamente seguendo i dettami della cultura woke. Insomma, di quella che è la specificità del pensiero filosofico, la riflessione sull'essere e sul senso e il mistero della vita, qui sembra essercene rimasta ben poca. E men che non si dica di spirito critico e di anticonformismo. Le idee accettate sembrano essere quasi solo quelle del trittico Equity, Diversity, Inclusion, che insieme alla Sustanaibility, tanto danno hanno già fatto alle nostre università. Insomma, quella che sarà messa in scena a Roma sembra essere la “dolce morte”, l'eutanasia, della filosofia. Se così stanno le cose, c'è veramente da chiedersi se essa abbia un futuro. Tutto sommato siamo però ottimisti: la filosofia corrisponde così tanto ad una esigenza indelebile dello spirito umano che essa ha mille altri luoghi per svilupparsi e per fare comunità. L'“astuzia della ragione”, avrebbe detto un grande filosofo, ha mille strade per affermarsi.
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