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Patricelli: le orrende Vele di Scampia figlie del Soviet
25-07-2024, 08:09
In Italia abbiamo le Vele di Scampia, mentre L'Ondata è in Polonia. Il vento del post modernismo abitativo ha portato al naufragio della vivibilità, con il fallimento dei mega -agglomerati abitativi scritto nella storia, a partire dai famigerati casermoni d'epoca sovietica. L'ideologia e l'utopia si sono sgretolate e frantumate di fronte all'impossibilità di disciplinare e governare un sistema residenziale e sociale secondo i dogmi, piegando la realtà ai desideri e non viceversa, disumanizzando esigenze e ambizioni dei singoli. La rivoluzione bolscevica, che non a caso dopo le cannonate dell'incrociatore “Aurora” prese d'assalto un palazzo, quello d'Inverno, predicò e applicò il diritto alla casa per tutti (ricorda qualcuno?) e fece uno spezzatino delle residenze e delle dimore aristocratiche: a ognuno qualcosa, bastava arrangiarsi, e la forma era salva assieme al princìpio. Di fronte alla Piazza Rossa di Mosca un capolavoro architettonico ottocentesco venne trasformato negli ottantamila metri quadri dei magazzini Gum, dove tra una fontana interna e una volta stuccata, tra tanto squallore e incuria, potevi acquistare un pezzo di montone o un capo d'abbigliamento di finta plastica made in Urss, sempre che gli scaffali non fossero immancabilmente vuoti. FORMICAI Nell'epoca stalinista trionfò poi l'edilizia magniloquente dei palazzoni-formicai. Uno stile per modo di dire. I comunisti nostrani, distratti da ricevimenti di partito, sbicchierate di vodka e champagne dell'Ucraina e tartine al caviale, non si fecero distrarre nella loro ortodossia sul Paradiso socialista dal puzzo stomachevole di cavoli e di chissà altro che ti prendeva alla gola appena entravi in quei complessi popolari al confronto del quale le miserabili case italiane parevano resort hollywoodiani; né tantomeno leggevano i turni al piano stabiliti dal capo caseggiato per usufruire della cucina obbligando ad avere fame a comando e poi sloggiare, né entravano nelle latrine comuni con la carta igienica pendente da un gancio costituita dalle pagine della Pravda. Niente tende alle finestre perché da fuori si doveva poter sapere cosa accadeva all'interno, niente privacy in quelle coabitazioni che andavano oltre le leggi della fisica. Sotto le dimensioni, niente di niente: né di bello e non di rado neppure di utile. Almeno in alcuni Paesi sotto il tallone sovietico, caduto il regime hanno rimesso mano architettonicamente alle inespressive facciate grigie integrandole in un più armonico contesto urbano, come hanno fatto a Praga con i condomìni prefabbricati. In Cecoslovacchia il regime comunista mica ti espropriava una villa con parco. Macché: ti lasciava la villa e ti requisiva il parco, e poi lì faceva spuntare funghi di cemento alti undici piani che ti circondavano togliendoti la luce del sole dai quattro punti cardinali, finché anche la villa che mancava giocoforza di manutenzione veniva lasciata allo Stato. Quanto poi alla monumentalità del realismo socialista, esplicitata dai mostruosi Palazzi della cultura di cui Stalin faceva pubblicamente dono (ma facendo in realtà dirottare a Mosca merci sottocosto o a prezzi fissati dal Cremlino), valga quel che dicono i polacchi con una barzelletta: qual è il punto più bello per osservare Varsavia? Dal palazzo della cultura. E perché proprio da lì? Perché non si vede il Palazzo della cultura. Tra gli Anni '60 e '70 in Polonia, in straordinaria sintonia con le Vele di Scampia a Napoli, venne realizzato il complesso di Falowiec, che ricordava appunto un'ondata, a Danzica e in altre località, per rispondere alla fame di appartamenti. Un formicaio labirintico per circa seimila persone, in cui tutto è ridotto ai minimi termini a partire dall'abitabilità: 11 piani che si estendono per 860 metri di lunghezza, quasi 1.800 appartamenti. Considerati la quintessenza dei complessi residenziali da incubo della Repubblica popolare di Polonia. La principessa Anna d'Inghilterra nel 1991 volle visitare un appartamento per sapere come viveva la gente comune: la portarono al nono piano con un ascensore, nelle due stanze con cucina della famiglia Kowalski. Dopo un caffè e una fetta di torta fatta in casa, fece due chiacchiere e salutò. Raccontano che durante la salita dell'angusto ascensore traballante e insicuro abbia avuto difficoltà a mantenere la flemma britannica. E comunque non ripeté nulla di quell'esperienza. KARL MARX A VIENNA Niente a che vedere, se non la filosofia ideologica d'impianto, con il Karl-Marx-Hof di Vienna, circa 1.400 appartamenti mini e poco meno di medi, con i servizi igienici in comune in ogni piano, lungo più di un chilometro, costruito alla fine degli Anni '20. Erano gli anni della socialdemocrazia austriaca, ma non si era abdicato al gusto del bello e alla scuola architettonica, tant'è che venne varato un grande piano urbanistico per la costruzione di oltre 60mila alloggi per lavoratori, denominati appunto Arbeiterhof. Nessun architetto nella sua prospettiva visionaria del mondo ha però sciolto il nodo sociale del condominio modernista in favore della qualità della vita. Le Vele di Scampia hanno fatto scuola, ma non certamente per il lavoro dei progettisti.
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