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Quei calci postumi sulla storia di Emilio Fede
Oggi 04-09-25, 08:22
“Sarà per sempre Emilio Fido”, così, in incipit del coccodrillo che in realtà è una seconda esecuzione non necessaria, dopo quella inflitta dalla sorella siamese di noi tutti da quando nasciamo, la morte. È la de-umanizzazione letterale dell’avversario, nemmeno elevato a Nemico inconciliabile, ma scarnificato a oggetto di scherno e pretesto per la propria prosa narcisistica qui e ora, dove lui non c’è più. La Repubblica, con la firma di Francesco Merlo, ha ampiamente vinto la gara al ribasso della piccineria umana e professionale di fronte alla scomparsa di Emilio Fede. Diciamo che è stato tutto il tinello giornalistico (molto) radical e (poco) chic a non concedere l’onore delle armi a un campione indiscusso della categoria, piaccia o no (sempre che la notizia valga ancora più della loro paturnia ideologica). Ma il Merlo scrivente è andato oltre, indugiando sul “corpaccione finale, deformato dagli eccessi della chirurgia plastica” che infine “ha staccato il simbolo dalla zavorra della realtà ed è morto”, il trapasso quasi come un atto di pulizia estetica, non come il compimento di quella tragedia tutta individuale che Martin Heidegger chiamava “imminenza sovrastante specifica”, e in cui sarebbe decoroso non entrare, specie per titillare il proprio Io. È l’Altro, che viene a mancare, ma per Merlo è solo colui che “riassume tutti i fidi giornalisti a servizio che ci sono nel mondo”, immaginiamo compreso i tanti fidi di Repubblica, da sempre al servizio del giornale-partito. Oh certo, Fede-Fido aveva l’irredimibile torto di essere “un mutante berlusconiano” (scrive proprio così, il Merlo buono e giusto, teorizza espressamente la condizione di alieno dal consesso umano dello scomparso) per cui “cambiarsi i connotati diventerà una dipendenza”. Quella da gioco non basta, rischia ancora di essere involontariamente nobilitante, e allora bisogna ricamare su “lampade abbronzanti, botulini, bisturi, trapianti di capelli, lifting, devastazioni accompagnate dalle solite sparate”: non è un ritratto per quanto malevolo, è scempio di cadavere. E un po’ anche dell’anima: si passa dalla rievocazione del nomignolo “ammogliato speciale” quand’era in Rai (la moglie Diana era la figlia del vicepresidente Italo De Feo) all’approdo al mondo di Berlusconi “come si arriva alla resurrezione di Cristo”, con Silvio “grande timoniere” e “la famiglia, da Marina a Barbara” che era “la sua cupola” (parola-chiave fin troppo smaccata, tra un’allusione e l’altra alla sicilianità). Anche Massimiliano Panarari sull’altra fida gazzetta del Gruppo Gedi, La Stampa, si lascia andare alla storpiatura canina dopo “Emilio”, accennando alla professionalità messa “al servizio di obiettivi di sostanziale disinformazione” e chiudendo con la definizione più che equivoca di “compagno di merende” di Berlusconi “nel fosco finale di partita dei bunga bunga” (è la traduzione moralistica di libere serate tra liberi adulti in voga presso le suddette gazzette). Addirittura una stroncatura soft, rispetto a Repubblica. Poi, c’è invece chi vorrebbe essere Francesco Merlo, ma è solo Andrea Scanzi. Il prezzemolino del Fatto, in ribasso sulle pagine dirette da Travaglio, si sfoga sui propri social. “A me, la parabola di Emilio Fede, dice queste cose” (virgole ad capocchiam, ma la punteggiatura dev’essere un pregiudizio berlusconiano). “Che dedicare tutta la tua vita per servire e riverire un capo è tanto sbagliato quanto idiota” (un’autocritica apprezzabile, se fosse riferita al rapporto tra l’opinionista e Giuseppe Conte). “Che per vent’anni ha incarnato il peggio del peggio dell’informazione di regime: potente e spietato, cattivo e arrogante” (detto da chi scrive su una testata notoriamente umile, morigerata e compassionevole). Tentativo di finale ad effetto: “Riposa in pace, Emilio Fede. E prova ad essere libero e senza guinzagli, almeno adesso”. Li chiamavamo falchi dell’antiberlusconismo, forse somigliano piuttosto ad avvoltoi, in ogni caso tutti insieme faticherebbero a riconoscere una notizia, quella cosa che era il combustibile esistenziale di Emilio “Fede”, con la “e”.
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