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"Ragazza bionda dai capelli a caschetto". Garlasco, spunta un'altra pista inedita che stravolge ogni certezza
Oggi 14-03-25, 01:15
E se il killer di Chiara Poggi non fosse uno solo? Se, con lui, all'omicidio della 26enne - avvenuto a Garlasco il 13 agosto 2007 - avesse partecipato un'altra persona? La clamorosa riapertura delle indagini di uno trai casi più controversi e discussi della cronaca nera italiana, ora, riporta a galla quesiti e interrogativi che nel corso degli ultimi 18 anni non hanno mai trovato risposte certe. Ma forse non sono nemmeno stati ascoltati con attenzione per una vicenda travolta e condizionata, fin da subito, dall'arresto, dal processo, dalle sentenze a giravolta e dalla condanna a 16 annidi Alberto Stasi, il fidanzato della vittima. La superperizia a firma dei genetisti Ugo Ricci e Lutz Roewer, presentata dalla difesa, accolta e condivisa dalla Procura di Pavia, adesso però può cambiare davvero la storia di questo omicidio. La nuova ipotesi degli inquirenti- e che potrebbe portare a una futura revisione del processo - è che chi ha ucciso la ragazza possa aver lasciato la sua traccia sulla scena del crimine: il Dna trovato sotto le unghie di Chiara (potrebbero essere due i profili, sicuramente non appartenenti a Stasi), che all'epoca i magistrati bollarono come «inutilizzabile» (per questo motivo non fu fatto alcun controllo), ora invece, come dimostrato dalla nuova relazione, è “leggibile”. E quindi utilizzabile. Le indagini hanno portato, anzi riportato, ad Andrea Sempio, oggi 37enne, che all'epoca del delitto aveva 19 anni ed era amico del fratello di Chiara: questa mattina dovrà presentarsi a Milano per essere sottoposto all'esame salivare e al tampone in modo «coattivo» perché è indagato dalla procura di Pavia per concorso in omicidio con Stasi (ma è un atto inevitabile in quanto Alberto è formalmente l'unico condannato) o con altri soggetti. Sì, ma con chi? Già in passato, in realtà, qualcuno aveva creduto nel coinvolgimento di ulteriori persone. Ad accreditare questa ipotesi era stata soprattutto una testimonianza, quella dell'operaio Marco Muschitta, 31 anni, tecnico dell'Asm Vigevano, che si era presentato spontaneamente in procura il 27 settembre 2007, 45 giorni dopo l'omicidio e tre giorni dopo il primo arresto di Stasi. Il ragazzo aveva raccontato che la mattina dell'omicidio, tra le 9.30 e le 10, mentre stava controllando delle centrali dell'acqua a Garlasco, aveva visto nei pressi dell'abitazione di via Pascoli «una bicicletta che andava a zig zag come se il conducente avesse qualcosa di ingombrante nella mano destra». Non solo, Muschitta aveva indicato anche il tipo di bici e chi la stava guidando, cioè «una ragazza bionda con i capelli a caschetto che indossava scarpe bianche e con stella blu e un pantalone lungo». E «che aveva nella mano destra un piedistallo tipo da camino-canna da fucile con in testa una pigna». Peccato che però, dopo aver fatto scrivere tre pagine e dopo una sospensione di quasi un'ora, aveva ritrattato: «Mi sono inventato tutto quello che vi ho raccontato perché sono uno stupido», aveva detto. Questo, oltre a far sì che il suo telefono venisse messo sotto controllo, aveva portato i giudici a scrivere che il testimone «risultava confuso e contraddittorio» e che «le dichiarazioni sono sicuramente inattendibili. Emerge, infatti, chiaramente come il Muschitta, fortemente condizionato dalle notizie lette e sentite dai mass/media e nella convinzione personale (peraltro espressa dinnanzi ai pubblici ministeri) che l'assassino di Chiara non fosse l'allora indagato... abbia all'indomani del fermo di Stasi deciso di realizzare una sorta di collage delle informazioni che conosceva in merito a questo omicidio». Insomma, Muschitta non era stato creduto, malgrado in una telefonata intercettata con il padre, poco dopo, era uscito uno scenario piuttosto strano. «Nel verbale alla fine cosa ci sarà scritto?», aveva chiesto il genitore. «Che tutto quello che ho scritto prima era una cosa inventata. Sono stato uno stupido», aveva risposto il ragazzo. «Ma tu hai detto la verità? Ne sei certo?». «Io ho detto quello che ho visto, ho detto io vi racconto quello che ho visto». E a quel punto il padre, forse riferendosi a eventuali pressioni, aveva commentato: «Loro hanno fatto questo per proteggerti, lo sai?». «Può darsi». «Sì, sì no ne sono sicuro. L'importante è che tu sia andato a dire quello che sapevi». Muschitta- che tra l'altro ai tempi aveva confidato quanto visto anche all'allora fidanzata e a un collega - non era stato creduto e la ragazza che lui accusava (Stefania Cappa, la cugina della vittima, una delle due “gemelle K che si presentavano alla telecamere abbracciando fotomontaggi con Chiara) lo aveva denunciato per calunnia, accusa dalla quale era stato assolto «perché il fatto non sussiste»: l'avvocato aveva spiegato che il suo assistito aveva veramente visto la bici e una ragazza, ma per il riconoscimento si era fatto suggestionare dall'esposizione mediatica di quei giorni. Ma allora, se prendiamo per buona la prima parte della testimonianza (poi stranamente ritrattata) ed escludiamo la cugina di Chiara, chi c'era veramente su quella bicicletta? Forse davvero un secondo killer?
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