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Respinti: la vescova che predica per i "bambini trans" odia Trump da sempre
23-01-2025, 08:57
«Sgradevole». Così ieri mattina Donald Trump ha definito, su Truth Social, il tono usato da Mariann Edgar Budde, che martedì lo ha apostrofato dallo scranno più alto della Cattedrale Nazionale di Washington. Lunedì, nel discorso d'insediamento, il presidente aveva fra l'altro detto che, d'ora in poi, negli Stati Uniti ci saranno solo maschi e femmine. A stretto giro, la Budde gli ha risposto officiando il National Prayer Service, che, dopo la cerimonia inaugurale in Campidoglio, ha avviato il nuovo corso presidenziale (sì, gli Stati Uniti sono un Paese così laico da permettersi di aspergere un ciclo istituzionale con una liturgia). Fissato Trump diritto negli occhi, patapàm, lo schiaffone: «Nel nome di Dio, le chiedo di avere pietà delle persone che nel nostro Paese adesso hanno paura», ha detto la Budde. «Ci sono bambini gay, lesbiche e transgender di famiglie Democratiche, Repubblicane e indipendenti che adesso temono per le proprie vite». Ridicolo, ma tant'è. CHIESA PER MODO DI DIRE 65 anni, ordinata nel 1989, dal 2011 la pasionaria è vescovo della Chiesa episcopaliana degli Stati Uniti (ramo indipendente dell'anglicanesimo). Regge la Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo di Washington, detta appunto Cattedrale Nazionale, che, oltre a guidare la diocesi episcopaliana della capitale federale, serve anche come sede del primate di quella Chiesa. Be', Chiesa: non essendoci successione apostolica, i tecnici del mestiere sostengono sia illegittimo definire così l'episcopalianesimo (e altre denominazioni cristiane prive di successione apostolica); meglio «comunità ecclesiale». Dunque il protestante Trump (ex presbiteriano che oggi si definisce cristiano aconfessionale) non avuto tutti i torti nel definire la Budde, sempre su Truth Social, un «cosiddetto vescovo». Lei è del resto una nota anti-trumpiana. Nel 2020 rifiutò indignata l'aiuto di Trump offertosi di ricostruire la Chiesa episcopaliana di St. John, dove la Budde era incardinata, detta la «Chiesa dei presidenti» (sta davanti alla Casa Bianca), cui Black Lives Matter aveva dato fuoco. Difficile insomma non vedere nella sua nuova randellata a Trump il presentat-arm suonato nell'orecchio di un esercito di attivisti che non aspettava altro. Del resto, ancorché non esista una Chiesa di Stato, l'episcopalianesimo (oggi ammalato grave di progressismo) è un po' la “Chiesa nazionale” USA e la sua voce comunque autorevole. Tutta questa faccenda però è ridicola. Al netto delle sforbiciate di un parco di colleghi giornalisti che non brillano per filologia, nel discorso inaugurale Trump non è stato offensivo. Ecco la sua frase per intero: «Questa settimana porrò fine anche alla politica con cui il governo cerca di fare ingegneria sociale con razze e gender in ogni aspetto della vita pubblica e privata. Forgeremo una società indifferente al colore e basata sul merito. Da oggi in poi, la linea politica ufficiale del governo degli Stati Uniti sarà che ci sono solo due generi, maschile e femminile». Parole antirazziste e inclusive soprattutto di buon senso. STOP ALLE IDEOLOGIE Trump non ha stabilito per decreto ciò che la natura già attesta. Non ha dileggiato chi patisce disforia di genere o vive con disagio la sessualità. Ha detto che le questioni di gender e di colore non debbono essere strumentalizzate come randelli ideologici. Ci sono luoghi e tempi per tutto, e il governo ‒ enfasi ‒ deve smettere di imbracciare sesso e genere come Kalashnikov. Per esempio il carrozzone mangiasoldi dell'Ufficio per Diversità, Inclusione, Equità e Accessibilità Trump lo chiuderà. Insomma, dato che i quattro anni dell'Amministrazione Biden sono stati una prateria immensa dove gli avventurieri di gender e razza hanno scorrazzato indisturbati, il presidente dice ora che la misura è colma. Si torna alla normalità, al senso comune, alle cose ognuna al posto che ha, e la politica fuori dalla camera da letto. Ci sono i maschi, ci sono le femmine e se qualcuno pensa che vi siano un'altra settantina di generi (come Facebook di Mark “volpe” Zuckerberg, che in Campidoglio applaudiva Trump) non deve più imporlo al governo federale e dal governo federale. Questioni tanto delicate vanno trattate con un riserbo da trattativa diplomatica, non violentate sugli altarini della politica. Perché sennò si fanno le figuracce della “vescova” Budde, che a Trump ha rinfacciato pure il cinismo sugli immigrati, scordandosi che la First Lady è una immigrata e immigrati pure i genitori indiani di Usha Chilukuri, consorte indù del vicepresidente cattolico del Paese più importante del mondo.
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