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Sandro Iacometti: i mille miliardi di debiti lasciati dalla sinistra
17-08-2024, 08:28
Per carità, prendersela sempre con chi c'era prima non va bene. Ma la faccia tosta della sinistra, che ha il coraggio di accusare il governo per il debito che sale, non è certo da meno. Non che il dato snocciolato ieri da Bankitalia non fosse un'occasione ghiotta, intendiamoci. Il rosso di bilancio a giugno è arrivato a sfiorare i 3mila miliardi (2.948), cifra tonda che ben si presta al tiro a bersaglio. Ma da qui a usare il rosso di bilancio per denunciare «la politica iniqua e di cortissimo respiro» di Palazzo Chigi, che «sta mettendo l'Italia in un vicolo cieco», come ha fatto il responsabile economico del Pd, Antonio Misiani, che fra l'altro di numeri ne sa, ce ne passa. All'esponente dem, infatti, non possono essere sfuggiti due punti fondamentali. Uno che riguarda il passato meno recente. E cioè che a fronte dei 99 miliardi di debito aggiuntivo accumulato negli ultimi 12 mesi ci sono quasi mille miliardi di buco accumulati dal 2011 (governo Berlusconi, l'ultimo “politico” prima di quello attuale) al 2022, grazie ai vari esecutivi tecnici o costruiti in Parlamento di cui il Pd, tranne un anno, ha sempre fatto parte. L'altro che riguarda la storia attuale. «Sul debito fino al 2026», scrive l'Ufficio parlamentare di bilancio in un report di qualche mese fa, «incidono pesantemente le compensazioni d'imposta legate agli incentivi fiscali degli ultimi anni, in gran parte per Superbonus e bonus facciate: la stima attualmente disponibile, pari a circa 170 miliardi nel periodo 2020-23, determinerà un aggravio medio annuo sul debito pari a circa 1,8 punti percentuali di Pil nel triennio 2024-26, più elevato rispetto agli 0,5 punti percentuali nel triennio 2021-23». In altre parole, da quest'anno il governo (e gli italiani) ha sul groppone circa 20 miliardi aggiuntivi di rosso grazie agli sconti edilizi varati dal governo Pd-M5S. Il che rende ridicola l'affermazione di Misiani secondo cui l'esecutivo ha fatto peggio dei dodici mesi passati tra giugno 2022 e giugno 2023. Bella forza. La realtà è che tutti, tranne gli sprovveduti o chi è in malafede, sapevano che il debito quest'anno sarebbe esploso. Così come farà il prossimo e quello dopo ancora. Finché non si arriverà al 2027, quando il rapporto con il pil potrà iniziare finalmente a calare. Tanto per essere precisi e per avere le idee più chiare, il debito nel 2020 era al 155% del prodotto interno lordo. Nel 2022 è sceso al 140,5, nel 2023 al 137,3 e per quest'anno le previsioni, si vedrà se rispettate o meno, sono al 137,8% del Pil. Insomma, la crescita era ampiamente prevista. Inaspettato, invece, in una fase dove le spinte inflazionistiche sono ancora presenti, i tassi d'interesse alti frenano gli investimenti e il Pil è appeso alla corsa del terziario, in particolare del turismo, è il dato sulle entrate, aumentate di 3,8 miliardi a giugno (+9,9% su giugno 2023) a 42 miliardi. Nel primo semestre il totale è a quota 248,8 miliardi, in aumento di 17,5 miliardi (7,5%) sull'anno precedente. La sinistra tende ad archiviare la pratica come l'ennesima fregatura del governo, una stangata su dipendenti e pensionati, un modo di fare casse sui poveracci. In realtà, il forte aumento delle entrate è il frutto di una crescita record dell'occupazione e della raffica di rinnovi contrattuali (il 36% in più secondo il Cnel) nel primo semestre, che hanno aumentato la base imponibile e provocato, come ha certificato l'Ocse qualche giorno fa, un incremento del reddito disponibile delle famiglie del 3,4%, il valore più alto del G7. Anche a chi ha gli occhi foderati dalla propaganda dovrebbe risultare chiaro che più soldi in tasca ai lavoratori significano più tasse nelle casse dello Stato. E più quattrini all'erario significano più risorse per compensare la bomba del Superbonus e per far quadrare i conti di una finanziaria che deve tenere insieme i nuovi vincoli previsti dal Patto di Stabilità (che torna in vigore dopo annidi spesa pubblica incontrollata) e il rifinanziamento delle misure fiscali a sostegno dei ceti bassi. Che malgrado le accuse delle opposizioni sono stati i principali beneficiari dei provvedimenti introdotti dal governo (taglio del cuneo e rimodulazione delle aliquote Irpef). Sputare sull'aumento dei redditi e puntare il dito su un debito che non è stato creato da questo governo è un giochino che forse potrà portare qualche voto alle prossime regionali. Ma la strada per costruire un'alternativa di governo, probabilmente, passa per altri sentieri.
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