Sechi: le Olimpiadi sono un fatto politico, sbagliare è vietato

I Giochi Olimpici sono un fatto geopolitico di lunga durata, hanno un impatto enorme, sfolgorano di simbolismo. Basta voltare lo sguardo indietro: Città del Messico, 1968, premiazione della finale dei 200 metri: sul podio salgono Tommie Smith (The Jet), John Carlos e Peter Norman. Due neri americani e un bianco australiano. Due pugni guantati di nero si levano in cielo, è il messaggio di un'altra rivoluzione americana: “Siamo uguali”; Mosca, 1980, gli Stati Uniti boicottano i Giochi contro l'invasione sovietica dell'Afghanistan; passano quattro anni, stavolta è la Russia a disertare le Olimpiadi di Los Angeles nel 1984. Emmanuel Macron ha puntato sul fascino di Parigi e il grande fiume, il suo feudo politico e culturale, la fortezza frou frou del macronismo separata dai popolani de La France périphérique. Il Re Solo ha scambiato il navigabile con il balneabile, il remo e il motore con il braccio e il polmone. Non ricordiamo la sfilata degli atleti, ma un meccanico cavallo pallido che sembra uscito dall'Apocalisse. Macron ha aperto l'occhio della telecamera sull'età dei Lumi, zoomato su Maria Antonietta decapitata dalla suprema ghigliottina, ha trasformato “L'ultima cena” di Gesù in un burlesque. Ottenendo la protesta delle Chiese, facendo scandalo e innescando un “rifiuto” che è l'eterno ritorno della reazione romantica contro i fanatici dell'Illuminismo. Pronti via! Gli arbitri sono incapaci, la piscina è lenta, il fiume è pece, i pasti sono scarsi, i letti di cartone sono per fachiri e, mon dieu, cari ecologisti à la Parisienne, accendete l'aria condizionata che si schiatta per il caldo. È andata come doveva andare: sono nella Senna fino al collo. E le italiane con la spada battono le francesi nel tempio del Grand Palais. E anche questa è politica.

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