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Sechi: Trump colpito, Biden affondato
15-07-2024, 07:38
Disse il compagno Lenin che «ci sono decenni in cui non accade niente e settimane in cui accadono decenni...». Pensate a quello che è successo nel giro di pochi giorni: il 27 giugno Joe Biden sfida Donald Trump nel primo dibattito tv della campagna presidenziale e ne esce (auto)distrutto; il 13 luglio Donald Trump in Pennsylvania viene sfiorato da un proiettile, pochi millimetri per finire ghermito dalla morte ma... cade, si rialza, «Wait, Wait, Wait», aspettate, dice agli agenti del servizio segreto, vibra il pugno in aria, si rivolge alla folla e... «Fight! Fight! Fight!», una sola parola, combattere. Da una parte l'impietosa decadenza senile, dall'altra un “comandante in capo”, colpito e capace di stare sulla scena, mantenere la lucidità per suonare la carica; là un uomo abbandonato dai democratici, qui il leader dei repubblicani convertiti al Make America Great Again. Due settimane, la Storia è diventata un viaggio nel futuro: siamo passati da Joe che esce mestamente dalla copertina di Time con il titolo «Panic», a Donald che resta guerriero insanguinato in pagina, «Attack On Trump». La sintesi è il titolo della prima pagina di Libero: «Trump colpito, Biden affondato». È l'infinito romanzo americano, la vicenda di una grande nazione che ha polmoni d'acciaio per reggere la pazza corsa della democrazia che si fa e si disfa, si scompone e si ricompone secondo misteriose formule, l'opera in fieri dei Padri Fondatori, forgiata con i versetti della Bibbia, il piombo della Colt, l'oscillazione macabra della forca. Quel proiettile che carezza come un rasoio la tempia di The Donald, la scia che diventa uno scatto da leggenda del New York Times, il paragrafo da un colpo e via, quell'istante che poteva scrivere il «The End» del film di Trump si dissipa nell'aria, resta la saetta di un presagio. Così la fine diventa un nuovo inizio, Donald è catapultato nel regno degli invincibili, Joe nel limbo degli uomini al tramonto. Gli Stati Uniti incollati alla televisione, l'infernale specchio della nazione, lo show permanente, divisi tra la “Red Nation” trumpiana e la “Blue Wave” senza leader. I primi sicuri di avere il Commander in Chief, i secondi alla disperata ricerca di un faro, smarriti nella notte. La guerra civile americana ha segnato un altro sinistro rintocco di campana, l'America è un Paese a mano armata che alimenta la torcia della libertà con una lotta invisibile di Angeli e Demoni, splendori e rovine fumanti. Trump è proiettato verso la Casa Bianca non perché non abbia un avversario in grado di «combattere» (eccola, la parola), ma perché nessuno meglio (e peggio) di lui oggi incarna la giungla dei grattacieli e il ranch dei cavalli selvaggi. La Convention del Grand Old Party a Milwaukee, nel generoso Wisconsin del latte e del pettirosso, sarà il rito della totale “trumpizzazione” dei repubblicani, il preludio dell'incoronazione nel voto presidenziale del 6 novembre. Sarà un ReMake America Great Again che culminerà in un picco nei sondaggi, la porta spalancata della villa al numero 1600 di Pennsylvania Avenue, la Casa Bianca. Siamo tra l'errore e l'orrore, quello dei democratici che hanno devastato il proprio terreno di bugie sulla salute del loro non più “caro leader”, e quello di un Paese a mano armata dove un cecchino apre il fuoco per deviare il corso del fiume della storia. Mancando il bersaglio per un soffio, l'ha cambiata nella maniera che nessuno si aspettava, regalando a Trump il mito dell'invincibile. The Donald non è una meteora, l'uomo con il cappellino rosso fu una sorpresa solo per chi non aveva visto le crepe interiori della presidenza di Barack Obama: bianchi contro neri, neri contro bianchi, neri contro neri, bianchi contro bianchi, messicani contro neri, messicani contro messicani. Le mille Americhe nell'America scodellate nell'irrealtà aumentata dei social network della paranoia. Candidare Hillary Clinton fu l'errore, Donald Trump fu la risposta. Il concerto di Filadelfia nel 2016 divenne un rito funebre, il picco di un'isteria destinata a crescere. La sconfitta di Trump nel 2020 maturò in condizioni eccezionali e irripetibili, sotto pandemia, con il voto postale di massa, con un candidato che radunava folle impressionanti e un altro che non si muoveva dalla sua casa. Il Truman Show dei democratici era appena iniziato e nella fiction della Grande Sorella, la televisione, si erano illusi di aver archiviato Trump. Ancora oggi, cadute tutte le maschere, non si rendono conto che il trumpismo precede Trump e gli sopravviverà quando giungerà anche per lui il momento dell'ora senz'ombra. I cicli della storia americana sono inesorabili, cambiano i protagonisti, resta la trama disegnata dallo spirito del tempo. Il 47esimo Presidente degli Stati Uniti è il tiro di dadi di elementi che non sono il calcolo perfetto del meccanicismo, ma l'imperfetto assemblaggio degli umori degli americani. Mancano poco più di tre mesi al voto, la partita non è mai chiusa, si gioca negli Stati, il candidato repubblicano ha superato la prova del proiettile, quello democratico deve affrontare la congiura. I sondaggi non sono mai la verità, il Campidoglio è terreno infido, un episodio può ribaltare la biga che corre sulla pista del Circo Massimo di Washington Dc. In fondo, è sempre una questione di dettagli, oggi capita in America, domani è Capitan America. Biden comanda dal bunker della Casa Bianca mentre il Partito democratico trama alle sue spalle. Gli chiederanno ancora il passo indietro, ma contro un Trump che ha camminato sul fuoco dell'immortalità sarà per tutti una traversata nel deserto senza una sola borraccia d'acqua. I sondaggi sono impietosi (e lo saranno ancor di più tra qualche giorno), nella media di Real Clear Politics Trump ha 2,7 punti di vantaggio, nello stesso periodo del 2020 era Biden a vantare 8,8 punti di distacco, mentre Hillary Clinton nel 2016 aveva un margine favorevole di 3,1 punti. Nei “Battleground States”, gli Stati che decidono l'elezione, Trump è in vantaggio netto in Arizona, Nevada, Wisconsin, Pennsylvania, North Carolina e Georgia, solo in Michigan il Presidente uscente sembra poter competere. Tutto è possibile, tranne l'impossibile. Ma vale il vecchio detto che non è finita finché non è finita. E allora “the show must go on”, lo spettacolo deve andare avanti. L'impresa di Biden è disperata e solitaria, quella di Trump è battezzata con il suo sangue, ferita e vittoriosa nell'incontro con la Grande Falciatrice. Joe è nella rovente Death Valley, cerca di battere il tempo come una gigantesca sequoia; Donald sulla vetta della Trump Tower, nell'apoteosi verticale di New York, cerca di catturare la potenza del tornado per diventare imprendibile.
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