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Senaldi: giudicato in Cassazione dai colleghi dell'accusatore
24-06-2024, 12:16
Cosa vuol dire essere giudicato in Cassazione da toghe che lavorano nella medesima sezione del pubblico ministero che una notte, alle 5, ha mandato gli elicotteri e i carabinieri con il mitra in pugno a casa tua per arrestarti... Cosa vuol dire andare a processo sapendo che il tuo collegio giudicante divide le stanze di lavoro e ha sentenziato su decine di casi insieme all'uomo che ti ha tenuto tre giorni in isolamento, 25 in carcere e nove mesi agli arresti domiciliari, accusandoti di essere stato corrotto con mille euro, senza però essere stato capace, in dieci anni, di trovare chi ti ha corrotto. Cosa vuol dire affrontare tutta questa situazione con in più il peso di un'intervista del presidente della sezione distrettuale di Lecce dell'Associazione Nazionale Magistrati, Vincenzo Scardia, che proprio ieri ha commentato la vicenda dicendo che è tutto normale, «i giudici non si fanno influenzare» e se fai presente quello che non va «manchi di rispetto alla categoria». Bisogna chiederlo a Gabriele Elia, che il 10 luglio si presenterà davanti alla Suprema Corte con lo stesso spirito delle ragazze iraniane davanti al tribunale morale deghi ayatollah. Nove anni fa, questo imprenditore pugliese era un assessore del Comune di Cellino San Marco in grande ascesa e aveva tre grandi colpe: essere di Forza Italia, essere stato scelto da Silvio Berlusconi come coordinatore provinciale e aver girato l'Italia su un camper dove campeggiavano le foto del Cavaliere e della figlia Marina. Quando però, l'anno successivo, il pm chiese il suo arresto, lo sventurato non era già più in carica, a dimostrazione che le dimissioni, malgrado quanto affermi la Procura che sta indagando Giovanni Toti, poco c'entrano, se la giustizia ha deciso di azzannarti i polpacci. Elia è stato arrestato con l'accusa di associazione a delinquere, corruzione e di aver firmato un atto che non avrebbe dovuto, nell'ambito di una retata che coinvolse buona parte della sua vecchia giunta, con la quale aveva anche rotto i rapporti nel frattempo. Convinto di essere innocente, è stato il solo a non patteggiare, e questa è stata la sua quarta grande colpa, perché resistere e protestare la propria innocenza per i magistrati è un affronto, significa non riconoscere il loro potere sugli uomini, colpevoli e no. I giudici prima lo hanno tenuto dieci mesi agli arresti, per il rischio d'inquinamento delle prove, anche se ormai non aveva più alcun potere, poi l'hanno condannato a sei anni. Reo di corruzione per aver ricevuto mille euro, non si sa da chi, per aver dato via libera a un appalto sui rifiuti che una sentenza del Consiglio di Stato ha giudicato essere «decisione legittima e doverosa». Ma non è questa la sola stranezza del processo a Elia, che si è visto rifiutare dal tribunale trenta testimoni a sua difesa per poi vedere il giudice che lo ha condannato mentre si faceva immortalare a una festa abbracciato al pm che lo aveva accusato. Fu ammesso a parlare invece, guarda caso, il testimone dell'accusa, il padre di un ufficiale della Direzione Anti-Mafia, presente quando uno sponsor consegnò a Elia i mille euro, denunciati come finanziamento alla campagna elettorale, e che però in aula smentì la ricostruzione dei pm. Ma neppure questo bastò a scagionare l'ex assessore, incastrato peraltro da intercettazioni silenti, ovverosia senza aver mai detto nulla, ma da conversazioni di altri che parlavano di lui. In materia di giustizia abbiamo visto di tutto ma continuiamo a indignarci. Il regista della retata oggi siede in Cassazione, nella sezione che deciderà del processo dove lui faceva l'accusa. La toga, membro della corrente dell'ex pm Piercamillo Davigo, ha avuto la delicatezza di non far parte del collegio giudicante ma i suoi colleghi, se assolveranno Elia, poi dovranno pur dargli qualche spiegazione in corridoio, dieci minuti dopo. Prevarrà la giustizia o l'imbarazzo? Chi può dire dell'animo degli uomini, delle emozioni del momento, delle eventuali valutazioni di opportunità personale... Senza dubbio il collegio sarà onesto e imparziale, però in caso di condanna il dubbio resterà sempre a Elia, il corrotto senza corruttore, e magari anche a qualcun altro. Già ieri, nel leggere l'intervista rilasciata dall'esponente dell'Anm su di lui ma senza citarlo all'Edicola del Sud, l'imputato-ricorrente, fino al giorno prima relativamente sereno, ha iniziato a tremare: «Non dubito dell'imparzialità dei giudici e non manco di rispetto alla loro categoria» ha confidato a Libero. «Ma prima delle categorie esistono i diritti, inviolabili e sacri, dei cittadini. Fuor di paradosso, mi sia consentito dire che ho fiducia nella giustizia, malgrado l'intervista di Scardia mi sembra voglia difendere l'indifendibile e puntare ancora una volta il dito contro di me, ma mi sentirei più sollevato se a giudicarmi fossero i colleghi non di chi mi ha accusato ma dei miei avvocati». Come dargli torto? Ecco perché sarebbero tutti più leggeri nell'attesa del verdetto, giudicanti e giudicato, e poi più sereni nella sua accettazione, se in Italia ci fosse già la separazione delle carriere programmata da questo governo. Da una parte i magistrati che istruiscono i processi e vestono i panni dell'accusa, e dall'altra i magistrati che poi devono decidere se hanno ragione i loro colleghi togati o un povero cristo che magari è pure di un partito che sta sulle scatole a lor signori perché vorrebbe farli scendere dal piedistallo sul quale si sono posti loro e non la Costituzione, che le toghe dovrebbero difendere e non usare. Anche perché pare che il pm di Elia, passato dalla Procura alla Cassazione, abbia presentato domanda per essere destinato al tribunale di Brindisi. Casomai la Suprema Corte cassasse con rinvio, l'ex assessore forzista rischierebbe di trovarsi per la terza volta il suo grande accusatore sulla sua strada: quattro gradi di giudizio, sempre lo stesso giudice. Capolavori della nostra giustizia.
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