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Superbonus, soldi buttati (e tolti ai poveri): cosa si poteva costruire con quei miliardi
27-05-2024, 07:33
«Siamo tornati sulla Terra dopo una gita su Marte». Sarà pur vero, come ha detto ieri Giancarlo Giorgetti alla fine del G7 a Stresa, che grazie al decreto del 29 marzo scorso «la disintossicazione è terminata». Anche perché, ha detto il ministro dell'Economia, chi lo difendeva «ora un po' si vergogna». Ma tocca ricordare pure che il conto lasciato dal Superbonus (e dagli altri incentivi edilizi) continuerà a pesare sulle casse dello Stato per i prossimi quattro-cinque anni per oltre 30 miliardi di euro all'anno. Un macigno, anzi un «fardello», come lo ha definito Giorgia Meloni, lasciato in eredità dal governo Conte e che ha complicato non poco la vita della nuova inquilina di Palazzo Chigi e del suo ministro dell'Economia. «Man mano che si va avanti si capisce sempre di più come quel “gratuitamente” sbandierato da alcuni in campagna elettorale sia in realtà un costo altissimo che tutti gli italiani, anche quelli che non hanno una casa, dovranno pagare per un provvedimento che ha favorito soprattutto chi di case ne aveva più d'una» ha spiegato il premier, ricordando che il conto di tutti i bonus edilizi dal 2020 a oggi è pari a 219 miliardi di euro. «È più dell'importo dell'intero Pnrr (194,5 miliardi, ndr)» ha ribadito Meloni, «soldi che sono stati tolti a lavoratori, famiglie, scuola, sanità. Per non parlare nelle truffe, le irregolarità certificate sono pari a 17 miliardi di euro». Secondo la Cgia di Mestre, con i 122,6 miliardi spesi per il solo Superbonus si potevano costruire 1,2 milioni di alloggi pubblici (con un costo di 100mila euro a immobile), risolvendo così, almeno in parte, l'emergenza abitativa che colpisce, secondo il Censis, 3,5 milioni di persone. Una provocazione, certo. Eppure il senso dell'analisi della Cgia è chiaro: investendo nelle case popolari si sarebbe fatta una vera redistribuzione a favore delle classi sociali meno abbienti. Invece - e il paradosso è che a ideare il Superbonus prima, e a difenderlo poi, sono stati proprio il Movimento 5 Stelle e il Pd - l'operazione è andata in senso diametralmente opposto. Ovvero avvantaggiare le famiglie più benestanti, che si sono potute rifare la casa a spese della collettività. Un aspetto, quello relativo alla natura regressiva dell'incentivo edilizio, sottolineato in diverse occasioni da Bankitalia e analizzato nel dettaglio dalla Corte dei Conti. Secondo la magistratura contabile, infatti, le detrazioni per il risparmio energetico riportate nelle dichiarazioni dei redditi Irpef relative al 2021 hanno interessato il 5,6 per cento dei contribuenti con meno di 40mila euro di reddito e il 37 per cento circa di quelli con oltre 150mila euro. Ma non ci sono solo ragioni di giustizia sociale da considerare per valutare il Superbonus. Perché l'obiettivo di migliorare l'efficienza energetica degli edifici e ridurre, di conseguenza, le emissioni di Co2 è stato disatteso: per Bankitalia ci vorranno quarant'anni affinché i benefici ambientali compensino i costi finanziari della misura. Senza contare che i 122 miliardi spesi sono serviti a ristrutturare appena il 4,1 per cento delle abitazioni. A fine aprile, stando al monitoraggio mensile effettuato da Enea, gli interventi realizzati sono stati poco più di 495mila. Quanto poi all'impatto sul Pil italiano degli ultimi anni, il contributo della maxi agevolazione è piuttosto modesto. Come riporta la Cgia, nel 2021, a fronte di una spesa di 13 miliardi, su una crescita dell'8,3 per cento, solo l'1,2 per cento è ascrivibile al Superbonus, percentuale che nel 2022 (54 miliardi), scende allo 0,7 (su un incremento del 3,7). Per quanto riguarda il 2023, quando si è registrata una corsa all'incentivo (76 miliardi) per non incappare nella tagliola del 2024, quando la detrazione è scesa dal 110-90 per cento al 70, l'effetto sulla crescita è stato praticamente nullo. Basti pensare che la revisione dei conti diffusa dall'Istat a fine marzo indicava un incremento del deficit di quasi due punti percentuali, dal 5,3 al 7,2 per cento, proprio per il maggior tiraggio del 110. Tuttavia, i 40 miliardi di spesa in più in costruzioni rispetto alle previsioni si sono tradotti in un ritocco della crescita del Pil di appena lo 0,1 per cento (dallo 0,8 allo 0,9). Ma il vero problema riguarda la finanza pubblica. Su un totale di 219 miliardi di euro di crediti edilizi, dei quali 160,3 miliardi relativi a Superbonus e Sismabonus e 58,7 afferenti a tutte le altre agevolazioni, al 4 aprile scorso, termine ultimo per comunicare cessioni e sconti in fattura, le compensazioni erano pari a 41, 8 miliardi di euro (20,8 nel 2023). Il resto dei crediti in circolazione andrà compensato dalle tasse nei prossimi anni. Eccola l'unica eredità del Superbonus: una cambiale da 177 miliardi che il governo Meloni dovrà onorare.
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