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Estero
Almeno 21 morti in Nepal nelle proteste contro il blocco dei social
Oggi 09-09-25, 11:59
AGI - Il primo ministro del Nepal, KP Sharma Oli, 73 anni, ha annunciato le proprie dimissioni dopo che la repressione delle proteste contro la censura dei social media e la corruzione ha provocato almeno 21 morti e centinaia di feriti. La decisione arriva in un momento di massima tensione per il Paese, scosso da una delle più dure ondate di violenza politica degli ultimi anni. Le manifestazioni erano scoppiate lunedì a Katmandu e in altre città contro la decisione del governo di bloccare l’accesso a 26 piattaforme online, tra cui Facebook, YouTube, X, LinkedIn e Instagram, accusate di non essersi registrate nei tempi previsti dalle nuove normative. Giovani in piazza, nonostante il coprifuoco La misura ha subito acceso la rabbia della popolazione, in particolare della generazione più giovane. La fascia tra i 15 e i 40 anni rappresenta il 43% dei 30 milioni di abitanti del Nepal, secondo le statistiche ufficiali, e molti di loro utilizzano i social non solo per svago, ma anche per lavoro, informazione e comunicazione quotidiana. Nonostante il governo avesse revocato il blocco già nella giornata di lunedì, i cortei sono continuati il giorno dopo, in aperta violazione del coprifuoco imposto a Katmandu. “Abbiamo visto gruppi di manifestanti in diverse zone, con casi di incendi e attacchi”, ha dichiarato il portavoce della polizia Shekhar Khanal all’AFP. Secondo un fotografo sul posto, alcuni obiettivi degli scontri sono stati edifici pubblici e proprietà di politici. Secondo Amnesty International, la polizia avrebbe fatto ricorso anche a munizioni vere per disperdere la folla. Il bilancio è stato pesante: 17 morti nella capitale e altri due nel distretto orientale di Sunsari. Oltre 400 i feriti, compresi più di 100 agenti, secondo fonti ufficiali. L’Onu ha chiesto “un’inchiesta rapida e trasparente” sull’accaduto, mentre i manifestanti denunciano l’eccessivo uso della forza. “Quasi 20 persone sono state assassinate dallo Stato, è la prova della brutalità della polizia”, ha detto Yujan Rajbhandari, 23 anni, studente universitario che aveva partecipato alle proteste. Dimissioni in serie al governo La crisi politica si è aggravata rapidamente. Dopo la violenza di lunedì, il ministro dell’Interno si è dimesso, seguito il giorno dopo da altri due membri del governo. Oli, nel comunicare la propria rinuncia al presidente della Repubblica, ha parlato della necessità di fare “nuovi passi verso una soluzione politica e la risoluzione dei problemi”. Lo stesso premier aveva ordinato un’inchiesta sugli scontri e aveva convocato colloqui tra tutti i partiti, ma la pressione di piazza e l’isolamento politico lo hanno convinto a lasciare l’incarico, iniziato appena lo scorso anno con la nuova coalizione tra il Partito Comunista e il Congresso Nepalese di centro-sinistra. Un Paese in crisi strutturale Le proteste non nascono solo dalla censura dei social. Il Nepal vive da anni una condizione di forte instabilità: disoccupazione intorno al 10%, crescita economica stagnante e un PIL pro capite di appena 1.447 dollari, secondo dati della Banca Mondiale. La sensazione diffusa è che le élite politiche siano scollegate dal resto del Paese. Su TikTok - unica piattaforma rimasta accessibile durante il blocco - hanno fatto il giro del web video che mettono a confronto le difficoltà della popolazione comune con lo stile di vita lussuoso dei figli dei politici, tra vacanze all’estero e beni di lusso ostentati online. Il quotidiano Kathmandu Post ha sintetizzato il malcontento con parole forti: “Non si tratta solo dei social media. È questione di fiducia, corruzione e di una generazione che rifiuta di restare in silenzio. Per loro, la libertà digitale è libertà personale. Toglierla equivale a mettere a tacere un’intera generazione”. Il Nepal è diventato una repubblica federale nel 2008, dopo dieci anni di guerra civile che hanno portato all’abolizione della monarchia e all’ingresso dei maoisti nel governo. Da allora, però, la politica nepalese è rimasta segnata da coalizioni fragili e frequenti cambi di leadership. Le dimissioni di Oli aprono ora un nuovo capitolo, con il rischio di lasciare il Paese senza una guida forte nel pieno di una crisi sociale ed economica. Sullo sfondo restano le richieste di una generazione giovane, digitale e sempre più impaziente, che pretende trasparenza, opportunità e libertà di espressione.
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