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Cultura e Spettacolo
'Anti semita', come una parola può spiegare l'attualità
27-01-2025, 18:43
AGI - In concomitanza con l'ottantesimo anniversario della liberazione di Auschwitz, in un periodo storico tutt'altro che felice, con guerre e rigurgiti violenti e fascisti ad avvelenare la vita delle persone e rovinare quella dei disperati in fuga dal Sud del mondo, torna d'attualità una parola che si pensava destinata all'oblio e che invece, ripetutamente e sempre più insistentemente viene replicata: antisemitismo. La violenta reazione di Israele all'infame attacco del 7 ottobre 2023 che ha portato alla morte di oltre mille israeliani e al rapimento di alcune centinaia, una reazione che è costata la vita a molte decine di migliaia di palestinesi a Gaza, ha fatto risuonare nelle piazze nuovamente slogan contro gli ebrei e scatenato un moto d'opinione antisemita. Nei Paesi europei tornano a mostrarsi simboli nazisti e chiaramente antisemiti mentre i responsabili delle leggi razziali e dell'Olocausto negli anni '30 e '40 del secolo scorso subiscono un processo di rivalutazione o, comunque, di ridimensionamento delle colpe e degli orrori commessi. Una situazione drammatica in cui accade quello che solo dieci anni fa sembrava impossibile: simboli della Shoah come Liliana Segre vengono insultati e minacciati e costretti, addirittura, a vivere sotto scorta per il solo fatto di essere sopravvissuti allo sterminio nazifascista e di volerne testimoniare la barbarie. In questo momento storico è quantomai importante il saggio di Valentina Pisanty che esce in questi giorni, 'Anti semita - Una parola in ostaggio' (Ed.Bompiani, pagg. 173 - Prezzo: 12 euro). Semiologa, docente presso l'università di Bergamo, l'autrice spiega l'origine della parola "antisemita", relativamente recente a dir la verità (fine Ottocento in Germania dove nacque la Lega Antisemita per opporsi alle leggi che riconoscevano diritti civili agli ebrei tedeschi) in un saggio che le fornisce anche l'occasione di palare di attualità dando un contributo importante e originale alla discussione sul ritorno dell'odio verso gli ebrei nel mondo. Con la fine della Seconda guerra mondiale e la rivelazione di cosa è stato l'Olocausto, assurto giustamente a ruolo di Male Assoluto, anche l'antisemitismo ha iniziato a scomparire, almeno formalmente. La parola che designava quindi l'odio verso gli ebrei, un sentimento negativo e respingente, sembrava destinata a diventare desueta. Poi cosa è successo? Due guerre tra lo Stato di Israele e gli arabi - quella dei Sei giorni nel 1967 e lo Yom Kippur del 1973 - e poi tutto quello che è venuto dopo a partire dall'occupazione delle terre conquistate nel '67 hanno attirato contro Israele un odio diffuso da parte de paesi arabi e anche di chi era contro gli Usa (che avevano aiutato Israele nel '73 e poi si erano sempre schierati al suo fianco). Accadde un fenomeno comprensibile ma inatteso: l'antisionismo, la critica alla politica espansionistica di Israele e la sua pretesa di occupare la Palestina in quanto popolo eletto, divenne sempre più sinonimo di antisemitismo. Se quest'ultimo, secondo la Jda - Jerusalem Declaration of Antisemitism "è la discriminazione, il pregiudizio, l'ostilità o la violenza contro gli ebrei in quanto ebrei (o le istituzioni ebraiche in quanto ebraiche)", non è affatto automatico che una critica a Israele sia prova di antisemitismo. Essere antisionista non vuol dire automaticamente essere antisemita. Pisanty cita, per esempio, Lord Arthur Balfour, sionista e antisemita, che nel 1917 si impegnò a costruire il "focolare nazionale" per il popolo ebraico in Palestina). Eppure queste due espressioni sono diventate sempre più una sola cosa al punto che si parla di "nuovo antisemitismo". Ed è questo, sostiene l'autrice, il motivo per cui oggi si assiste a un ritorno prepotente, soprattutto in Europa, delle manifestazioni contro gli ebrei. Perché si identifica Israele con gli ebrei. E questo perché, spiega la professoressa Pisanty, "tra la fine degli anni Novanta e i decenni successivi alcuni policy-makers intravedono con sempre maggiore chiarezza il potenziale strategico della parola 'antisemita'. Divenuto sinonimo del Male Assoluto, il termine si presta a una varietà di usi funzionali alla politica di chi se ne sente custode e titolare - si legge nella prefazione - tra questi, come è evidente, i partiti della destra israeliana quasi ininterrottamente al potere dal 1996. Con l'appoggio di istituzioni americane ed europee, i governi israeliani di stampo ultranazionalista si autoproclamano portavoce ufficiali delle vittime dell'Olocausto, discendenti compresi. Non importa che, degli attuali quindici milioni di ebrei nel mondo, solo sette abbiano scelto di vivere in Israele. Essendo Israele l'unico paese a maggioranza ebraica, la supervisione della Memoria spetta alla sua leadership politica, sostengono. Nominatisi motu proprio Guardiani della Memoria, rivendicano un monopolio su quell'area del linguaggio che si riferisce ai crimini storici subiti dagli ebrei d'Europa genocidio, ghetto, lager, pogrom, razzismo, antisemitismo e altre parole affini". La professoressa non intende, col suo saggio, "sciogliere l'intrico tra antisionismo e antisemitismo che negli ultimi decenni ha soffocato il dibattito in Medio Oriente", ma vuole fare chiarezza sul significato della parola "antisemitismo". Eppure dalla sua disamina semiologica ne deriva una lucida analisti storica e una chiave di lettura della realtà di oggi. Una lettura che certamente non troverà tutti d'accordo perché l'idea che antisionismo sia una forma di antisemitismo è diffusa e comunemente accettata.
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