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Estero
I droni a Copenaghen "non arrivano dalla Russia". Lo scenario spiegato dall'esperto
Oggi 23-09-25, 17:26
AGI - L’incidente che ha paralizzato per ore l’aeroporto di Copenaghen, con diversi droni avvistati nello spazio aereo danese e norvegese, riporta al centro dell’attenzione la questione della sicurezza aeroportuale. Cristiano Baldoni, ingegnere aeronautico, ex amministratore delegato di D-Flight e dirigente Enav, oggi consulente, invita alla prudenza nelle interpretazioni ma non ha dubbi sull’origine locale dei velivoli. Ingegnere, alcuni ipotizzano un’origine russa dei droni. È plausibile? No, è fuori discussione. È impensabile che un drone possa partire dalla Russia e arrivare in Danimarca senza essere intercettato. Non per i limiti tecnologici e di autonomia, ma perché dovrebbe attraversare vasti spazi aerei ipercontrollati. Le immagini viste in televisione mostrano droni con luci di posizione lampeggianti: non erano stealth, ma visibili. È chiaro che siano stati fatti decollare in loco. Con quale obiettivo, secondo lei? Non quello di colpire fisicamente un aereo: se fosse stato quello l’intento, avrebbero potuto farlo facilmente. Lo scopo era generare panico, creare un danno economico e paralizzare l’attività aeroportuale. In poche ore di blocco le conseguenze si riflettono a livello continentale. Chi può aver agito? Non possiamo dirlo: potrebbero essere agenti russi, turisti o cittadini danesi. L’unica certezza è che fossero persone presenti sul posto. E resta il dubbio: erano inconsapevoli della gravità delle loro azioni o hanno agito maliziosamente, sapendo bene che avrebbero provocato la chiusura degli aeroporti? Ci sono precedenti simili? Sì, il caso di Gatwick, a Londra, dove per giorni lo scalo restò paralizzato. Da allora molti aeroporti si sono dotati di sistemi di drone detection, che però funzionano solo quando il drone è già in volo. Non possono impedirne il decollo. E in Italia? A Malpensa e Fiumicino esistono sistemi di detection finanziati dai gestori aeroportuali. Ma non tutti gli scali possono permetterseli: bloccare Fiumicino non è come bloccare un aeroporto regionale, il rapporto costi-benefici è diverso. E resta il nodo delle competenze: spetta al gestore aeroportuale o al fornitore dei servizi di traffico aereo installarli?. È mai stato valutato l’uso di sistemi di abbattimento? Il tema è delicatissimo. Solo le forze dell’ordine possono impiegare sistemi d’arma, anche elettronici. E abbattere un drone in un aeroporto è rischioso: bisogna considerare dove cade e i possibili danni collaterali. Ci sono progetti sperimentali, dai droni “cacciatori” con reti al jamming dei segnali GPS. Quest’ultimo è usato in Ucraina, ma disturba anche la navigazione civile, come dimostrato dall’incidente che ha coinvolto la presidente von der Leyen. Quanto è reale il rischio di incidenti gravi? Secondo il report EASA 2024, ci sono stati pochissimi incident e nessun accident. In Italia ci sono segnalazioni di avvistamenti, ma nessun evento con conseguenze materiali. Paradossalmente la sicurezza reale potrebbe essere persino maggiore di quanto stimato, perché molte ore di volo dei droni non sono registrate. Qualcuno ipotizza scenari più fantasiosi, come il lancio da un sottomarino. È possibile? Esistono prototipi di droni espulsi dai tubi lanciasiluri, ma sono mezzi molto piccoli. Qui si è parlato di droni più grandi, quindi lo ritengo improbabile. Certo, tecnicamente un sottomarino potrebbe emergere, far decollare un drone e poi farlo precipitare in mare, spiegandone la scomparsa. Ma resta un’ipotesi di fantasia, non la più concreta. Che cosa insegna, allora, l’incidente di Copenaghen? Che è necessario affrontare il problema in modo serio, non solo accademico. Le contromisure vanno rafforzate adesso, prima che un episodio simile porti a conseguenze ben più gravi.
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