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Economia e Finanza
La libertà su Internet cala per il 15esimo anno di fila
Oggi 13-11-25, 14:25
AGI - La libertà su internet continua a scendere a livello globale, per il quindicesimo anno di fila. Il nuovo rapporto “Freedom on the Net 2025” di Freedom House segnala un deterioramento ormai strutturale che non riguarda più solo i regimi autoritari: anche democrazie consolidate come Stati Uniti, Germania e Paesi Bassi mostrano segnali di rallentamento. In Europa, i livelli più alti restano appannaggio di Islanda ed Estonia, mentre la Francia si mantiene su valori elevati ma più distanti. E l’Italia? Resta nel gruppo dei Paesi “liberi”, abbastanza stabile, anche se registra un lieve calo: da 75/100 a 74/100. Secondo l’analisi dell’organizzazione con sede a Washington, su 72 Paesi valutati, 27 hanno peggiorato la propria situazione nell’ultimo anno e solo 17 hanno registrato miglioramenti. Il quadro generale conferma una tendenza consolidata: la rete è sempre più controllata, più manipolata e più esposta a pressioni politiche, tanto nei contesti autoritari quanto nelle democrazie più forti. Il dato più rilevante riguarda proprio i Paesi classificati come “liberi”: la metà ha registrato un arretramento. Paesi “liberi” in calo: Georgia, Germania e Stati Uniti La Georgia registra il peggior arretramento tra i Paesi considerati “liberi”, seguita da Germania e Stati Uniti. Il declino georgiano è legato alla legge sulla “trasparenza delle influenze straniere”, che impone a ONG e media online finanziati dall’estero di registrarsi presso il governo. Nel corso dell’anno le autorità hanno effettuato perquisizioni nei confronti di ricercatori e introdotto sanzioni fino a 45 giorni di carcere per insulti rivolti a funzionari pubblici, colpendo anche utenti accusati per contenuti diffusi online. In Germania, dopo le elezioni, è aumentato il ricorso a procedimenti penali contro chi pubblica meme o contenuti ritenuti offensivi verso politici. Il rapporto evidenzia inoltre una crescita dell’autocensura, alimentata dalle intimidazioni dell’estrema destra, dalle tensioni legate al dibattito su Israele e da episodi di antisemitismo e islamofobia registrati anche fuori dalla rete. La Germania ottiene un punteggio di 74 su 100, lo stesso dell’Italia. Negli Stati Uniti, scesi a 73 punti, il calo è attribuito a un clima politico più teso. L’amministrazione Trump ha ordinato la detenzione temporanea di cittadini stranieri per attività online non violente e ha promosso indagini considerate “politicizzate” nei confronti di ONG, media e aziende tecnologiche per le loro scelte di moderazione dei contenuti. Freedom House parla di un generale “raffreddamento dell’attivismo digitale”. I peggiori arretramenti globali A livello globale, il peggior crollo dell’anno riguarda il Kenya, dove il governo ha risposto alle proteste del giugno 2024 con un blackout di circa sette ore, arresti di massa e sparizioni forzate. Un quadro simile, pur con metodi differenti, emerge anche in Venezuela: il governo Maduro ha oscurato social media, testate giornalistiche, piattaforme di comunicazione e strumenti anticensura in concomitanza con le elezioni presidenziali. Il rapporto conferma che Cina e Myanmar restano i Paesi meno liberi al mondo, con appena 9 punti su 100. In Cina, le autorità hanno ulteriormente rafforzato il sistema di filtraggio dei contenuti, mentre la Russia ha accelerato il processo di isolamento digitale bloccando Signal, rallentando YouTube e limitando l’accesso ai siti che utilizzano protocolli di sicurezza come Encrypted Client Hello. L’Europa presenta un quadro sfaccettato. In cima alla classifica ci sono Islanda (94) ed Estonia (91). Seguono Paesi Bassi (84) e Francia (76), mentre Regno Unito (76) e Germania (74) si allineano all’Italia (74). Ungheria (69), Serbia (67) e Turchia (31) chiudono la graduatoria. I Paesi che migliorano Alcuni miglioramenti nella libertà su internet sono stati registrati in Paesi classificati come “parzialmente liberi” o “non liberi”, principalmente perché i loro governi hanno imposto restrizioni meno severe rispetto al periodo precedente. Etiopia e Kazakistan hanno ottenuto punteggi migliori dopo aver applicato blackout meno estesi e aver compiuto progressi nella diversificazione dei rispettivi settori delle telecomunicazioni. Angola e Zimbabwe hanno mostrato piccoli passi avanti, poiché le iniziative legate al governo per manipolare l’informazione online sono risultate meno frequenti nel periodo considerato.Nel mondo, intanto, molti Paesi continuano ad ampliare l’accesso complessivo a internet: la diffusione dei servizi e la maggiore accessibilità economica hanno portato miglioramenti in Marocco, Filippine e Uzbekistan. Manipolazione online e IA: l’indicatore più in calo Sebbene alcuni progressi siano positivi, molti governi hanno una storia di repressione digitale e non dispongono di tutele legali solide per la libertà di espressione e la privacy. Il tema dominante del rapporto resta il controllo delle informazioni online. L’indicatore relativo alla manipolazione dello spazio informativo è quello che, negli ultimi 15 anni, ha subito il declino più costante. Le tecniche includono l’uso intensivo dell’intelligenza artificiale per produrre contenuti ingannevoli, reti di commentatori che si fingono utenti comuni, siti “clone” di testate affidabili e influencer che diffondono messaggi politici senza trasparenza. Le nuove sfide tecnologiche: IA, satelliti, identità online Sul fronte tecnologico, Freedom House segnala che il futuro dipenderà da come i governi regoleranno lo sviluppo di intelligenza artificiale, connettività satellitare e sistemi di verifica dell’identità online. L’uso crescente di procedure obbligatorie di riconoscimento – anche in democrazie mature – rappresenta una sfida diretta all’anonimato, considerato un pilastro della libertà di espressione. Il rapporto evidenzia inoltre un elemento critico: gli Stati Uniti hanno interrotto i finanziamenti ai programmi internazionali per la libertà digitale, colpendo iniziative anticensura, strumenti di comunicazione sicura e reti di supporto a giornalisti e attivisti perseguitati. Freedom House stessa afferma di essere stata coinvolta nei tagli. “La ritirata di Washington lascia un vuoto significativo”, avverte l’organizzazione. In conclusione, il quindicesimo anno consecutivo di arretramento viene definito un segnale “preoccupante” che richiede una risposta coordinata tra governi democratici, settore privato e società civile, per evitare che la prossima ondata tecnologica sposti ulteriormente l’equilibrio a favore della repressione digitale.
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